Sono l’Avvocato Giovanni Pampaloni Giovanni Pampaloni, compagno di prigionia di don Elio e del Capitano Feliciani a Villa Triste a Firenze. Dopo il primo interrogatorio, don Monari tornò in cella con il viso tutto gonfio e non fece quasi parola. Era come un senso di pudore, credo, ad impedirgli di raccontarci qualcosa delle bestialità di cui era stato vittima. Seppi indirettamente che a don Monari “furono inflitte le seguenti torture: ore ed ore appoggiato al muro in punta di piedi: quando appoggiava il piede erano botte col bastone, fu fatto rotolare avendo un bastone che passava sotto le ginocchia e sopra gli avanbracci; fu messo, nudo sul tetto a terrazzo di Villa Triste, legato, al sole di luglio, e lì lasciato almeno per un certo periodo in due giorni successivi. Di noi tre, Feliciani, Pampaloni e Monari, don Monari era il più sereno, animato sempre da una fede incrollabile. Era davvero una luminosa figura di sacerdote. Nulla poteva intaccare la sua serenità. Trovava perfino che la cella costituiva un alloggio passabile; al confronto, si intende, di quel terribile autocarro sul quale lui e il cap. Feliciani erano arrivati a Firenze, buttati sul tavolato coi polsi legati dietro la schiena per un giorno intero, senza neppure un sorso d’acqua. Sentivo, don Monari pregare insieme ad un capitano che era con lui. Lui mi disse che era stato trovato vicino ad un partigiano moribondo durante il combattimento e che quindi per lui non ci sarebbe stato altro che la fucilazione. Il capitano Feliciani invece mi disse che don Monari lo avrebbero lasciato libero se fosse andato con i fascisti, ma preferì la morte.
La notte dal 15 al 16 fu fatto un appello e tra i nomi chiamati ci fu quello di don Monari. Sentivo che coloro che rispondevano non dicevano “presente” bensì facevano un passo avanti. Poco dopo, finito l’appello sentii i chiamati seguire i militi e sentii chiudere la porta.