I numerosi profili che tratteggiano la vita di don Elio lo mettono puntualmente in relazione con la rete di soccorso clandestina creata alla fine del 1943 per l’assistenza di diverse categorie di persone seriamente minacciate nella loro esistenza o nelle loro libertà fondamentali. Tale attività è legata indiscutibilmente alla generosità umana e cristiana espressa coralmente dal popolo italiano che si ribellava tra rischi esorbitanti a patenti ingiustizie ed assurde persecuzioni nei confronti di vittime innocenti. Ma quello che però mancava ed era indispensabile a questo slancio umanitario era un meticoloso coordinamento così che l’insieme potesse funzionare e lavorare celermente con profitto. Questa opera di organizzazione-coordinamento, che richiedeva scaltrezza, mobilità, autorevolezza, discrezione, è in gran parte dovuta a don Elio. Una storica come Maria Pia Balboni afferma che essa fu “preparata da don Elio Monari” per, assistere, trasferire, nascondere, espatriare soldati italiani e stranieri nonché famiglie di ebrei in pericolo di deportazione o di vita. Enrico Ferri, ricercatore scrupoloso afferma che “don Monari fu uno degli organizzatori principali della rete di soccorso” .
La notizia dell’esistenza di tale via di salvezza si sparse ben presto tra le famiglie ebree tanto che la figlia del rabbino di Ferrara Leone Leoni, Bruna nelle sue memorie inedite poté scrivere: “La mamma [Gemma Ravenna] venne a sapere che i fratelli Uzzielli si erano trasferiti a Modena dove fungevano da tramite tra un’organizzazione partigiana e dissidenti ed ebrei ricercati dalla polizia. Stavano organizzando fughe in Svizzera attraverso le Alpi. La mamma andò a Modena e attraverso gli Uzzielli incontrò i coniugi Lugli che fissarono la data della nostra fuga” .
Don Ennio Tardini, anche lui all’interno di questa rete ne svela, in piccola parte il funzionamento: “Allora c’era già questa ramificazione, don Monari da S. Biagio di Modena si teneva in relazione con noi e ci smistava ebrei che venivano anche da Firenze. Ricordo che una volta, quando si arrivava a mangiare a mezzogiorno a tavola e sentivo suonare il campanello della porta del Seminario dicevo: “Ci siamo!”. Noi sapevamo che doveva mandarci della gente circa in quell’orario lì. Si andava là a sentire, si presentava questa gente, questi forestieri con queste letterine di don Monari” . Don Elio era attivissimo anche nel settore dei documenti falsi che si dovevano procurare agli ebrei per creare identità false e permettere loro di nascondersi, spostarsi e possibilmente riparare all’estero. Gestiva un ufficio suo proprio per tali contraffazioni prima nel seminario metropolitano e poi nella parrocchia di S. Biagio dove si era trasferito. Ma tutti i principali centri di questa rete alla fine ebbero il loro ufficio falsificazioni.
La creazione della ramificazione sotterranea dovette impegnare ancora una volta tutto il coraggio e l’autorità di don Elio anche nella sua veste di Vice-assistente interdiocesano della G.I.A.C. Di questo suo lavoro di “tessitura” della rete di salvezza ne parla un suo fedele collaboratore, Mario Contatore, di lì a poco collocato da don Elio al comando militare di Modena a trafugare documenti utili per sfuggire al bando di reclutamento militare del febbraio del 1944 e quindi al plotone di esecuzione riservato ai renitenti. Mario Contatore fu inviato da don Elio, secondo il suo solito con biglietti autografi di raccomandazione in montagna nella zona di Guiglia, Zocca e Montese per sensibilizzare i parroci e chiedere loro se erano disposti a nascondere militari e ad ospitare ed assistere ebrei. Qualche altro suo emissario raggiuse le altre valli della montagna poiché abbiamo testimonianze di gruppi familiari di ebrei ospitati o soccorsi a Serramazzoni, Pavullo, Montecreto, Fanano, Sestola, Pievepelago, Fiumalbo, Lama Mocogno, Palagano, Montefiorino, Frassinoro, Massa di Toano. L’aiuto era spesso prestato attraverso le famiglie o gli istituti religiosi femminili in grado di fare un lavoro più discreto. In città a Modena oltre al seminario Metropolitano dove era attivo don Pistoni, e i vari istituti religiosi maschili e femminili, si era creato il giro delle cliniche e degli ospedali compreso quello militare di S. Geminiano di Modena rimasto famoso per la rocambolesca fuga di Alfeo Martini resistente legato a don Zeno. Tra le cliniche compiacenti di Modena vi era Villa Domenichini, Villa Vittoria, Villa Igea, la Casa di Cura Fogliani, più il Sanatorio di Gaiato e quello di Selva dei Pini. Gli ospedali di Carpi, S. Felice, divennero ugualmente luoghi di rifugio per diversi ebrei ammalati e non e proprio in relazione a questo lavoro venne arrestato a Carpi Odoardo Focherini.
Alcuni ne beneficiarono fino al termine della guerra. La centrale di smistamento fino al suo arresto fu la casa di Mario Lugli in Via Ganaceto a Modena dove un giorno, secondo C. Bettelli, si trovarono riuniti una trentina di ebrei in gran parte fuggiti da Ferrara dove era in corso una rappresaglia a causa dell’uccisione del Federale fascista. Anche in questo caso si dovette ricorrere direttamente a don Elio che aveva il dono di affrontare le situazioni più complesse trovando soluzioni impensate. Pare che in questa circostanza sia riuscito a sistemare le numerose famiglie nel giro di poco tempo.
Per quanto riguarda la pianura molte attività di soccorso degli ebrei passavano attraverso il giro di don Zeno: S. Giacomo Roncole sede dei Piccoli Apostoli, Casinalbo con don Ivo Silingardi, Fossoli col suo campo di concentramento dove era attivo don Venturelli, Carpi dove operava Mamma Nina la sorella di don Zeno, S. Martino Spino con don Dante Sala, Moglia e poi c’era Nonantola e Rubbiara con don Arrigo, Don Ennio, Finale Emilia con don Benedetto Richeldi, Vignola con don Giuseppe Pellegrini, ecc.
Poiché don Elio, per prudenza e umiltà, non ha lasciato nulla di scritto sulla propria attività con gli ebrei, è possibile ricostruire in parte le varie iniziative di cui si è reso protagonista solo attraverso alcuni testimoni:
Per gli israeliti una delle più sicure vie di salvezza era l’espatrio in Svizzera che per i meno abbienti era più problematico, per questo uno dei compiti di don Elio era quello di trovare fondi e individuare sempre nuovi canali di fuga per quella destinazione. Dal momento che la Valdossola era molto battuta da tedeschi e repubblicani, Don Elio dopo essere stato a Milano al quartier generale di una organizzazione di contrabbandieri dove aveva concordato pagamenti e ricevute firmate dei passaggi del confine, aveva individuato un passaggio alternativo nel piccolo paese di frontiera di Tirano.
Così Luigi Paganelli poté scrivere che don Elio: “Si dedicò con ardore veramente evangelico all’assistenza dei perseguitati (…) soprattutto nei riguardi degli ebrei, per i quali organizzò un vero e proprio servizio di occultamento e di avviamento verso la svizzera: per vari mesi, fino aprile del 1944, tutte le settimane partivano regolarmente per Como le staffette di don Monari per accompagnare gli ebrei verso il confine”. Un altro testimone autorevole, Ermanno Gorrieri, aggiunge a proposito che: “Fra i numerosi ebrei concittadini salvati e fatti passare in Svizzera il rag. Zironi ricorda anche il primo sindaco socialista di Modena, rag. Ferruccio Teglio. William Zironi e Maria Bertani, esponenti dell’Azione Cattolica accompagnavano in treno gli ebrei di Modena a Como in accordo con don Monari”.
Don Nino Monari parroco di Massa di Toano, assai attivo all’interno dell’organizzazione partigiana, a cui i tedeschi bruceranno infine chiesa e canonica per oltraggio, racconta che: “Don Elio arrivava quassù anche a piedi, sempre pieno di notizie, di cose da fare, di gente da sistemare. Nel luglio-agosto 1943, mandò quassù una decina di ebrei. Dava loro un biglietto con due righe. C’era scritto: ‘Saluti cordiali, don Elio’. Io capivo tutto e non avevo bisogno neppure di chiedere il nome a quella gente. Li facevo passare nel reggiano; di là c’era una persona fidatissima che li prendeva in consegna per poi passarli ad altri”.
A documentare l’opera di don Elio vi è anche un verbale del 20 febbraio 1944 della questura di Modena nel quale troviamo il suo nome ripetutamente tirato in ballo durante l’interrogatorio di Igina Bernardini. É in esso che si afferma con toni recriminatori che don Elio si era interessato inspiegabilmente dell’assistenza di un’ebrea povera che era stata arrestata poco prima e di aver fatto ricoverare nella clinica Domenichini tre membri di una famiglia ebrea i quali avevano potuto costatare la sua benevolenza palese . Non è certo che sia stato in quell’occasione, che il funzionario informatore della questura, F. Vecchione, abbia chiamato in questura don Pistoni mostrandogli il verbale dell’interrogatorio in cui una ebrea aveva confessato di essersi sottratta fin allora alla cattura perché aiutata da D. Monari e per questo rispediva don Pistoni a scongiurare don Monari “di essere più prudente” così da non doverlo arrestare.
Alcune lettere o biglietti di don Elio a don Francesco Venturelli operante nel campo di concentramento di Fossoli testimoniano pure la collaborazione tra i due per l’assistenza ai prigionieri ebrei diretti in Germania. Ma non mancano i contatti, per il soccorso agli ebrei, con i già ricordati don Roberto Angeli, don Amedeo Tintori di Livorno figure importanti nella resistenza e inoltre con alcuni dirigenti dell’A.C.I. di Roma. L’immagine del fiume carsico è forse la più eloquente per descrivere l’opera di don Elio in favore degli israeliti. Gli studiosi come E. Ferri hanno fatto emergere infatti la sua discretissima azione dal suo percorso sotterraneo in tante situazioni complicate indicando nomi e cognomi delle persone salvate. Ma questo non esaurisce assolutamente la conoscenza di un’opera come la sua che deve essere perciò affidata ad una ricerca più approfondita.
Don Angelo Belloni