INCONTRO 18 GIUGNO 2024– Castello di Guiglia
Apertura ecumenica-universale della sua azione il che fa supporre che più che le idee, le appartenenze politiche e religiose delle persone egli ne considerasse il valore oggettivo per cui ai suoi giovani, impegnati nel dialogo con individui di convinzioni diverse dalle loro, raccomandava assieme alla franchezza, – un altro tratto caratteristico della sua persona – un grande rispetto e amore per tutti. Scrive Emilio Salotti: “Aiutò tutti senza distinzione di idee, di fede politica, di nazionalità, religione; per don Elio erano tutti figli di Dio e quindi fratelli suoi”[1]. Scriveva C. Bettelli suo discepolo: “Don Elio non guardava in faccia a nessuno… per lui le anime erano tutte uguali”[2]. Aveva la capacità di catalizzare il bene dove si trovava e di scatenare l’odio dei malvagi.
Dalla considerazione della dignità della persona umana scaturiva l’intolleranza nei confronti delle violazioni di tale dignità e il suo essere irremovibile dinnanzi ai soprusi[3] sempre più plateali e quindi un’azione per lo più sotterranea per formare i giovani alla consapevolezza della gravità del momento storico, per snobbare le leggi ingiuste e soccorrere le numerose vittime del sistema. Un tratto simpatico della sua personalità era un certo gusto nel beffare i nazifascisti come quando fece fuggire dall’ospedale il partigiano Alfeo Martini travestito da prete. Il lavoro di sottrazione e falsificazione dei documenti (ricordiamo il famoso timbro a secco del Comune di Modena per poter autenticare le carte d’Identità) – come si è sentito nella testimonianza di M. Contatore – fu di fondamentale importanza per occultare, trasferire in Italia e all’estero le categorie a rischio. Tali attività tennero molto impegnato personalmente don Elio e per dare nuove identità ai giovani e a persone dai cognomi considerati “sospetti”. Per operare con maggiore libertà in questo campo lasciò il seminario e si trasferì a S. Biagio che era già un rifugio sicuro per gli ebrei.
Si fa notare come il suo impegnarsi tempestivo nel bisogno (era già attivo il 9 settembre del 43 per aiutare i militari prigionieri in Cittadella a scappare anche dalle fogne) – da ciò l’accusa di essere frettoloso e imprudente – rivelasse la sua capacità di vedere ma anche di conoscere anzitempo tramite i canali romani, i fatti importanti come l’armistizio dell’8 settembre. Infatti già nel maggio del 1943 – secondo M. Contatore suo collaboratore (di cui abbiamo ascoltato parte della sua testimonianza) – egli è al lavoro per creare la famosa rete di soccorso in questa zona dell’appennino, dove aveva lavorato ai tempi di Montombraro dal 1936 al 1940 e aveva diversi contatti[4]. La capacità di precorrere i tempi come voleva don Zeno Saltini al quale era legato come Sacerdote Piccolo Apostolo, era una sua caratteristica infatti don Nino Monari, parla di un gruppo di 10 ebrei che don Elio gli inviò a Massa di Toano già nel luglio-agosto del 1943.
Leggendo il racconto dei fatti narrati dai protagonisti militari di nazionalità inglese salvati dalla deportazione grazie all’opera di don Elio e della sua organizzazione clandestina si rimane ancora colpiti dalla profondità e delicatezza dei sentimenti che egli ha saputo suscitare in loro nei pochi mesi delle loro frequentazioni. Riuscì a coinvolgere anche loro, aviatori di professione, in un progetto per il trasferimento all’estero tramite aereo dei perseguitati da Pian Cavallaro alla Svizzera. Molto probabilmente il piano non poté essere portato a termine[5]. In memoria di don Elio i militari inglesi e del Commonwealth finanziarono la costruzione di una delle palazzine della Città dei Ragazzi di Modena che don Elio aveva progettato con don Mario Rocchi per la formazione umana e cristiana della gioventù e ritornarono con le loro famiglie per esprimere la loro cordiale gratitudine ai sacerdoti che avevano salvato loro la vita. Il Maggiore Lewis nel 1951 ricordando don Elio Scrive: “Don Monari morì a trent’anni e durante la guerra, aveva lavorato senza sosta negli interessi dei fuggitivi alleati, partigiani ed ebrei. La loro salvezza era la sua missione”; “Io pensavo a don Monari e ad Arturo Anderlini, due uomini che mai vacillarono nella loro lotta contro l’oppressione e che pagarono il loro impegno con la propria stessa vita”. E tra i principali responsabili della sua morte vi è colui che il prof. Claudio Procaccia, in uno studio minuzioso definisce: uno dei tristi figuri che durante la dominazione nazifascista ha terrorizzato la gran massa della popolazione della Capitale, tutti i patrioti, gli antifascisti, gli ebrei. Egli impersonava il terrore, la violenza, la venalità, il saccheggio e mai si smentiva in ogni sua manifestazione: Giuseppe Bernasconi[6].
- La sua apertura ecumenica lo rende capace non solo di aiutare ma di collaborare con persone tanto diverse per idee politiche e religione. Sappiamo come nella squadra vi fossero, comunisti, socialisti, azionisti, ebrei, persone comuni, di ogni ceto e professione desiderose di fare del bene a perseguitati innocenti. E nonostante i gravi rischi le persone coinvolte erano davvero tante e organizzate in modo scrupoloso con ruoli specifici per rispondere ai bisogni del momento. La legge della discrezione era ferrea per tutelare un po’ tutti. Don Elio brillava in questa virtù per questo non si sa nulla delle sue imprese più delicate e rischiose. Con la stima e l’autorità che lo accompagnava anche per il fatto di essere Assistente della Gioventù di Azione Cattolica seppe coinvolgere nella sua opera di salvezza anche alcuni elementi cattolici dell’ambiente fascista. Sappiamo quanto bene poté fare Francesco Vecchione nella veste di capo gabinetto del questore di Modena, finché non fu scoperto[7]. Ciò che per alcuni era un limite intollerabile – la familiarità con laici e socialisti – era invece una virtù di don Elio perché la chiarezza e solidità delle sue idee era tale che non temeva inquinamenti o contaminazioni. Egli sapeva semmai essere convincente con persone assai lontane dal suo modo di pensare.
- Nell’esperienza con i partigiani in montagna, legata anche alle denunce e mandati di cattura nei suoi confronti, della durata di poco più di un mese don Elio ebbe modo di mettere in luce questo suo amore ecumenico, universale per ogni uomo ed il profondo rispetto per ognuno. Non voleva essere identificato con un gruppo partigiano cattolico e incominciò a peregrinare da un gruppo all’altro condividendo le condizioni[8] di vita assai disagevoli dei ragazzi perché diceva: “Io devo dormire con i miei e malamente come i miei”[9]. Fece passare l’idea che egli era il cappellano di tutti i partigiani di qualsiasi colore seminando a piene mani tra quei ragazzi impreparati e anche indisciplinati gridando forte quando il suo ministero di prete veniva snobbato e i condannati a morte morivano senza i sacramenti. Se da un lato manteneva i contatti con i pezzi grossi di allora al comando: Armando, Davide, Claudio, Nello richiamandoli all’ordine di fronte a violenze gratuite come le torture dei prigionieri, le rappresaglie e le sentenze frettolose e l’abuso di potere, dall’altro continuò ad essere vicino ai ragazzi più fragili e inesperti, ai condannati a morte, ai malati e ai feriti[10]. Operò per lo scambio di prigionieri con i tedeschi o repubblicani, riuscì a salvare dalla fucilazione non solo dei partigiani ma anche giovanissimi fascisti. Il fatto che anche i meno religiosi degli schieramenti lo ritenessero un prete eccezionale e che alcuni fascisti dopo la sua sparizione nel luglio del l”44 lo cercassero per poterlo aiutare, la dice lunga[11]. Mantenne in quel periodo contatti abituali con i suoi confratelli della montagna continuando il lavoro di accoglienza dei profughi, prestandosi nel momento del bisogno e ricevendo anche utili consigli quando si accorse che il suo ministero tra i partigiani non era capito dai superiori di Modena[12].
Don Angelo Belloni
[1] ARCHIVIO CENTRO FERRARI- FONDO D. ELIO MONARI, Testimonianza E. Salotti.
[2] C. BETTELLI, I preti uccisi, Modena (ex articoli Nostro Tempo febbraio-aprile 1960) 1985, p. 37.
[3] G. PAOLO FELTRI, Don Elio Monari, Modena 1953, p.18.
[4] ARCHIVIO CENTRO FERRARI- FONDO D. ELIO MONARI, Testimonianza di Mario Contatore.
[5] C. BETTELLI, I preti uccisi, op. cit., p. 18-19.
[6] Cfr. SILVIA HAIA ANTONUCCCI E CLAUDIO PROCACCIA, Dopo il 18 ottobre, gli ebrei a Roma tra occupazione, resistenza, accoglienza, delazioni (1943-1944), Vielle, Roma, p. 58-59.
[7] I. STORICO MODENA, Persecuzione, deportazione, solidarietà, Artestampa, Modena 2009, p. 16.
[8] LUIGI PAGANELLI, Don Elio Monari, Mucchi, Modena 1990, p. 115-116.
[9] FERRUCCIO COSCI E LUIGI BONALDI, Tre preti nella bufera, Pievepelago 2010, pp. 75-76.
[10] E. GORRIERI, La Repubblica di Montefiorino, Il Mulino, Bologna 1966, p. 385 nota 13.
[11] Avvenire d’Italia 14.10.1958, G. PISTONI.
[12] E. FERRI, Il sorriso dei ribelli, Giuntina, Firenze 2013, p. 100; GIORGIO MALAGUTI (a cura), Preti ribelli, Modena-Nonantola 2022, p. 62;