Materiale didattico pastorale

DON ELIO MONARI: S: MESSA DO MMONS. MONARI E INCONTRO SASSUOLO 29 GIUGNO

Rapporto con Sassuolo. Scrivono G. Paolo Feltri e don Casimiro Bettelli suoi primi biografi: [Don Elio] ordinato prete nella chiesa di S. Pietro a Modena il 28 giugno 1936 all’età di 23 anni con dispensa della S. Sede perché l’età canonica era di 24 [da Mons. Ferdinando Bussolari]. [Vuole celebrare] la prima s. Messa solenne il giorno dopo a Sassuolo in S. Giorgio, che pur essendo fuori Diocesi, considera la sua parrocchia in quanto alle Casiglie (dal 1933 circa e vi rimane) vi abita la sua famiglia genitori e 6 tra fratelli e sorelle . Lì muore il papà Augusto nel 1945 anche per le torture dei fascisti che volevano sapere dove erano i figli partigiani.  Lì muore la mamma nel 1965 con in tasca le lettere di don Elio. Nella foto del cimitero appare con la medaglia d’oro di don Elio appuntata sul cappotto.  I genitori sono sepolti a Sassuolo.

Don Elio è in ottimi rapporti con il parroco Mons. Zelindo Pellati, al quale si è legato negli ultimi anni del seminario in occasione delle vacanze che passava a casa. A Sassuolo, in S. Giorgio andrà poi spesso, chiamato da don Zelindo, per servizi di confessioni e predicazioni, Esercizi spirituali (dal 4 al 7 settembre 1939 alla Gioventù Femminile di Azione Cattolica).

Purtroppo, dalla Guardia Nazionale Repubblicana di Sassuolo, a metà maggio 1944, dopo una delazione importante parte il mandato di arresto nei confronti di don Elio secondo il quale: “Don Elio Monari deve essere immediatamente arrestato a qualsiasi costo”. Non so se in questa affermazione vi sia già scritta la sentenza di morte. È ciò che determina la sua ascesa ai monti, anche se, come dice un suo discepolo E. Salotti: “Don Elio sentì in cuor suo prorompente il desiderio di recarsi sull’appennino modenese-reggiano onde assistere, come ministro di Dio, quei giovani così bisognosi di aiuto e di assistenza spirituale, cosa che fece assumendo il nome di battaglia di don Luigi. Abbandonò quindi la città e si mise a loro completa disposizione”.

Il rapporto con le diversità e la vocazione aggregativa e a creare unità attorno a sé

  1. Aveva una grande apertura di mente e vedeva il bene ovunque si trovasse. E più che la diversità delle idee, lo preoccupavano, le chiusure, i pregiudizi ideologici, le discriminazioni, l’assolutizzazione delle idee, il pensiero unico che porta prima alle chiusure discriminanti e poi al conflitto. Da ciò la sua opposizione senza sconti al Nazifascismo. Ma pare di cogliere anche la sua capacità di distinguere le persone dalle loro idee, soprattutto se professate con poca convinzione, per opportunismo e paura. Da ciò il raro dono di riuscire a farsi stimare da un sacco di persone tra le più diverse in tutti gli ambienti. Anche lui però aveva i suoi oppositori. Lo si intuisce ma lui non ne parla mai.

Anche per questo ai suoi giovani, impegnati nel dialogo con individui di convinzioni diverse dalle loro, raccomandava sì la franchezza, – un altro tratto caratteristico della sua persona – ma soprattutto, di non offendere mai, di avere un grande rispetto e amore per tutti. E lui per primo scrive L. Paganelli suo compagno di lotta, “si presentava come espressione di grande amore per tutti e di una disponibilità senza limiti nei confronti di chiunque”. Lui non si dava mai un pochino ma…completamente.

Scrive Emilio Salotti: “Aiutò tutti senza distinzione di idee, di fede politica, di nazionalità, religione; per don Elio erano tutti figli di Dio e quindi fratelli suoi”. Scriveva C. Bettelli suo discepolo: “Don Elio non guardava in faccia a nessuno… per lui le anime erano tutte uguali”. Partendo dal presupposto filosofico-teologico della inviolabilità della dignità umana come si legge nello Statuto dei Sacerdoti Piccoli Apostoli di don Zeno Saltini cui apparteneva: “per restaurare la dignità umana Gesù diede la sua vita”, egli aveva maturato in sé l’intolleranza nei confronti delle sue violazioni e un atteggiamento irremovibile dinnanzi ai soprusi sempre più plateali del suo tempo. Da ciò un’azione per lo più sotterranea, giudicata comunque da molti imprudente e spregiudicata per, suscitare e organizzare la ribellione dei giovani nella consapevolezza della gravità del momento storico, per snobbare le leggi ingiuste e soccorrere le numerose vittime del sistema. Un tratto simpatico della sua personalità era un certo gusto nel beffare i nazifascisti come quando fece fuggire dall’ospedale il partigiano Alfeo Martini travestito da prete. La sottrazione e falsificazione di documenti e timbri per far sparire i ricercati.

La sua apertura ecumenica lo rende capace non solo di aiutare ma di collaborare con persone tanto diverse per idee politiche e religione. Sapeva bene che l’unione fa la forza e che un regno diviso in sé stesso va in rovina. Perciò sfruttando lo spirito altruista e generoso del popolo, ormai antifascista, accolse nella sua rete, comunisti, socialisti, azionisti, ebrei, persone comuni, di ogni ceto e professione desiderose di fare del bene a perseguitati innocenti. E nonostante i gravi rischi le persone coinvolte erano davvero tante e organizzate in modo scrupoloso con ruoli specifici per rispondere ai bisogni del momento (dall’ottico, al barbiere, al dentista, ecc). La legge della discrezione era ferrea per tutelare un po’ tutti e ognuno sapeva solo ciò che lo riguardava. Don Elio brillava in questa virtù per questo non si sa nulla delle sue imprese più delicate e rischiose. Con la stima e l’autorità che lo accompagnava, anche per il fatto di essere Assistente della Gioventù di Azione Cattolica seppe coinvolgere nella sua opera di salvezza anche alcuni elementi cattolici dell’ambiente fascista. Sappiamo quanto bene poté fare Francesco Vecchione nella veste di capo gabinetto del questore di Modena, finché non fu scoperto. Ciò che per alcuni era un limite intollerabile – la familiarità con laici e socialisti –  era invece una virtù di don Elio perché la chiarezza e solidità delle sue idee era tale che non temeva inquinamenti o contaminazioni. Egli sapeva semmai essere convincente con persone assai lontane dal suo modo di pensare.

Nell’ambito del clero:

  1. È sua l’idea della creazione del coordinamento nazionale dei preti assistenti della Gioventù I. di Azione Cattolica per dare unitarietà e omogeneità all’indirizzo educativo; don Zeno piccoli apostoli. È lui che sollecita don Zeno a creare una unione di Sacerdoti e attorno allo statuto dei Sacerdoti Piccoli Apostoli che è anche frutto del suo lavoro in una lunga notte di discussione (tra il 2-3 febbraio 1943). Questo statuto presenta idee molto coraggiose: Superamento della proprietà privata del prete; la fraternità evangelica rigorosa, tra preti come quella delle buone famiglie basata sul comandamento nuovo; la concezione famigliare della parrocchia e della canonica come luogo di accoglienza dei bambini abbandonati con mamme per vocazione e il prete che svolge le funzioni del padre; Il sacrificio di se stessi per l’evangelizzazione di tutti gli aspetti della vita sociale percorrendo e precorrendo l’indole dei tempi.

Nell’ambito politico

  1. Il lavoro di don Elio sulle varie espressioni delle forze cattoliche per superare contrapposizioni e dispersione in un momento tanto grave come quello che si stava attraversando è stato studiato dai suoi discepoli e anche da storici più recenti. Come ho scritto, don Elio intervenne in una riunione del 1944 con E. Gorrieri e Luciano Merlini dei Cristiano-sociali di Livorno per sottolineare che c’era un compito immediato per il quale ogni discussione doveva essere rimandata: la lotta ai fascisti e ai tedeschi. La linea adottata era, per i giovani: snobbare l’arruolamento con i repubblichini, formare di gruppi consapevoli di resistenti in pianura e soprattutto in montagna collegati tra di loro e con Modena (Via Bonacorsa), creare la rete sotterranea di soccorso per assistenza proteggere oppositori, ricercati ed ebrei. La rete comportava oltre che la creazione di nascondigli sicuri in città, nel territorio della pianura e della montagna anche la creazione di canali per l’espatrio in svizzera o per l’attraversamento del fronte.

Con gli stranieri e con questi gli ebrei

  1. Rapporto con i militari stranieri. Leggendo il racconto dei fatti narrati dai protagonisti militari di nazionalità inglese salvati dalla deportazione grazie all’opera di don Elio e della sua organizzazione clandestina si rimane ancora colpiti dalla profondità e delicatezza dei sentimenti che egli ha saputo suscitare in loro nei pochi mesi delle loro frequentazioni. Tali sentimenti condivisi dai figli di costoro hanno portato a stabilire rapporti con i modenesi più legati a don Elio che sono continuati nel tempo e durano tutt’ora. Con questa sua apertura d’animo riuscì a coinvolgere anche loro, aviatori di professione, in un progetto per il trasferimento all’estero tramite aereo dei perseguitati da Pian Cavallaro alla Svizzera. Molto probabilmente il piano non poté essere portato a termine.

In memoria di don Elio i militari inglesi e del Commonwealth finanziarono la costruzione di una delle palazzine della Città dei Ragazzi di Modena che don Elio aveva progettato con don Mario Rocchi per la formazione umana e cristiana della gioventù e ritornarono con le loro famiglie per esprimere la loro cordiale gratitudine ai sacerdoti che avevano salvato loro la vita. Il Maggiore Lewis nel 1951 ricordando don Elio Scrive: “Don Monari morì a trent’anni e durante la guerra, aveva lavorato senza sosta negli interessi dei fuggitivi alleati, partigiani ed ebrei. La loro salvezza era la sua missione”; “Io pensavo a don Monari e ad Arturo Anderlini, due uomini che mai vacillarono nella loro lotta contro l’oppressione e che pagarono il loro impegno con la propria stessa vita”. E tra i principali responsabili della sua morte vi è colui che il prof. Claudio Procaccia, in uno studio minuzioso definisce: uno dei tristi figuri che durante la dominazione nazifascista ha terrorizzato la gran massa della popolazione della Capitale, tutti i patrioti, gli antifascisti, gli ebrei. Egli impersonava il terrore, la violenza, la venalità, il saccheggio e mai si smentiva in ogni sua manifestazione. Si chiamava Giuseppe Bernasconi ed era di Firenze.

 

In montagna con i partigiani

  1. Nell’esperienza con i partigiani in montagna nel giugno del 44 dove visse la conquista di Montefiorino (17 giugno) e in quell’occasione scrisse alla mamma: “La montagna è tutta nostra abbiamo un fegato di ferro”, don Elio ebbe modo di mettere in luce questo suo amore ecumenico, universale per ogni uomo ed il profondo rispetto per ognuno. Non voleva essere identificato con un gruppo partigiano cattolico e incominciò a peregrinare da un gruppo all’altro condividendo le condizioni di vita assai disagevoli dei ragazzi perché diceva: “Io devo dormire con i miei e malamente come i miei”. Fece passare l’idea che egli era il cappellano di tutti i partigiani di qualsiasi brigata seminando a piene mani tra quei ragazzi impreparati e anche indisciplinati gridando forte quando il suo ministero di prete veniva snobbato e i condannati a morte morivano senza i sacramenti. Se da un lato manteneva i contatti con i pezzi grossi di allora al comando: Armando, Davide, Claudio, Nello, richiamandoli all’ordine di fronte a violenze gratuite come le torture dei prigionieri, le rappresaglie e le sentenze frettolose e l’abuso di potere, dall’altro continuò ad essere vicino ai ragazzi più fragili e inesperti, ai condannati a morte, ai malati e ai feriti. Vi è una bella testimonianza del socialista Arrigo Boccolari riportata da E. Gorrieri nel suo, La Repubblica di Montefiorino: “Con Armando vi era anche don Elio Monari. L’incontro con quel sacerdote resta per me tra i più bei ricordi. Entrammo insieme nelle diverse osterie del paese esortando gli uomini ad una maggiore correttezza e ad un maggior senso di responsabilità; era enorme la sua influenza su tutti, si avvertiva in lui una grande superiorità morale”. L’autista del futuro sindaco di Pavullo (Mario Ricci) ricorda come al ricordo di don Elio “Armando si commuoveva”.

Operò per lo scambio di prigionieri con i tedeschi o repubblicani, riuscì a salvare dalla fucilazione non solo dei partigiani ma anche giovanissimi fascisti. Il fatto che anche i meno religiosi degli schieramenti lo ritenessero “un prete eccezionale” e che alcuni fascisti dopo la sua sparizione nel luglio del l”44 lo cercassero per poterlo aiutare, la dice lunga. Mantenne in quel periodo contatti abituali con i suoi confratelli della montagna continuando il lavoro di accoglienza dei profughi, prestandosi nel momento del bisogno e ricevendo anche utili consigli quando si accorse che il suo ministero tra i partigiani non era capito dai superiori di Modena.

Don Angelo Belloni