Materiale didattico pastorale

DON ELIO MONARI:

un Martire misconosciuto, un sacerdote di Spilamberto Medaglia D’oro al Valor Militare della Guerra di Liberazione

Nello Bozzini

[Foto: Don Elio Monari, nato a Spilamberto il 25 ottobre 1913, fucilato a Firenze il 16 luglio 1944. Eroe della Resistenza modenese e Medaglia d’Oro al Valor Militare]

Don Elio Monari nasce in frazione Poggioli di Spilamberto (MO) il 25 ottobre 1913 in una famiglia patriarcale di mezzadri composta da diciassette persone.

Dopo le scuole elementari frequenta il ginnasio nel Seminario di Fiumalbo e viene ordinato sacerdote nel 1936 con 18 mesi di anticipo rispetto all’età canonica essendosi distinto sia per l’ottimo profitto negli studi sia per il suo rigore morale congiunto alle più elevate doti di umanità e umiltà.

La sua vivacità culturale lo indirizza all’insegnamento di materie letterarie presso il collegio “San Carlo” di Montombraro e successivamente nel corso liceale del seminario di Modena: frequenta contemporaneamente l’Università Cattolica di Milano dove si laurea in lettere nel 1941.

IL SUO SACERDOZIO COME MISSIONE NEL SOCIALE

Il suo temperamento attivo e generoso lo rende più sensibile verso quell’ aggravamento  che nel  1942-43 si evidenzia nelle condizioni di vita degli operai cittadini e del proletariato agricolo; don Elio si attiva così nell’ambito del sociale e abbandona l ‘insegnamento per potersi meglio dedicare all’assistenza dei più bisognosi e dei più deboli; a tale attività indirizza pure i giovani dell’Azione Cattolica di cui è ora un dirigente provinciale: fra questi giovani si distinguono alcuni che avranno più tardi un ruolo primario nella Resistenza modenese: Ermanno Gorrieri, Mirco Campana, Giovanni Manfredi, Franco Fiorani ed altri che saranno inquadrati nella brigata partigiana “Italia” operante nell’Appennino modenese sotto l ‘egida democristiana.

Ma fondamentale è per don Elio l’incontro con don Zeno Saltini laureato in Legge e parroco della frazione S. Giacomo Roncole nel comune di Mirandola (MO): un prete “scomodo” ai suoi superiori e alle autorità fasciste, da tempo impegnato nell’attività sociale a favore degli umili per riscattarli dalla emarginazione e dalla miseria che li privavano dei diritti richiesti dalla dignità umana; nella sua parrocchia  aveva fondato l’Opera dei Piccoli Apostoli che accoglieva i ragazzi abbandonati sottraendoli allo squallore dell’orfanotrofio e incuneandoli in una “famiglia elettiva di adozione” con una madre che se ne prendeva cura[1].

L’impegno cristiano-sociale di don Zeno a favore dei diseredati confluiva ideologicamente nell’avversione al regime fascista la cui dittatura aveva conculcato i diritti delle classi lavoratrici: don Monari nei suoi dialoghi con on Zeno recepisce questa confluenza e il suo afascismo converge nell’antifascismo militante. In seguito, nella notte fra il 2 e il 3 febbraio 1943, don Monari, don Zeno e altri cinque sacerdoti vegliano tutta la notte nella canonica di San Giacomo Roncole a Mirandola per compilare il testo dello Statuto dell’Opera “Sacerdoti Piccoli Apostoli” in cui si impegnano ad “immolarsi anima e corpo” a favore delle esigenze della vita  del popolo precorrendone anche le necessità e rinunciando ad ogni bene patrimoniale  personale:  solo allora si potrà superare il divario tra il cultualismo ecclesiale talora astratto e l’estraneità alla Chiesa di talune masse popolari.

[Foto: Don Zeno Saltini parroco di San Giacomo Roncole (Mirandola) fondatore dell’Opera Piccoli Apostoli: collaborò con don Monari per avviare il clero modenese e i giovani di Azione Cattolica ad una attività che, non escludendo il sacrificio personale, riscattasse le condizioni delle classi oppresse.]

Don Elio sarà sempre fedele a questo impegno e nei primi mesi del 1943 avvia il progetto per la costituzione a Modena della “Città dei Ragazzi” allo scopo di fornire una formazione professionale lavorativa ai ragazzi dei ceti più umili lavorativi; poco più tardi, partecipando alla Resistenza, immolerà la sua vita per riscattare i ceti popolari dalla dittatura fascista.

DON ELIO MONARI IN PIANURA NEL GUERRA DI LIBERAZIONE,

Dopo 1’8 settembre 1943 don Monari aderisce alla Resistenza perché sente il dovere dì essere un prete per i poveri che ama con tutto il cuore: vuole infatti essere al loro fianco nello sforzo di costruire, secondo il mito resistenziale, una società più giusta, più fraterna e più amorevole è “un ribelle per amore”; amore verso i più bisognosi considerando questo sentimento un elemento essenziale della vocazione sacerdotale. Aiuta così i prigionieri  alleati, fuggiti dai campi di concentramento di Fossoli (Carpi) e della  Crocetta (Modena),  a raggiungere  a nord la Svizzera o a sud il territorio liberato dagli angloamericani ; interviene per salvare e rifornire di abiti borghesi i militari italiani fuggiti attraverso le fognature dalla caserma modenese del 36° reggimento fanteria – detta Cittadella – dove  erano tenuti prigionieri dai tedeschi in attesa di essere deportati in Germania; mette in salvo parecchi ebrei braccati dai nazifascisti inviandoli nell’Appennino reggiano presso  don  Nino  Monari  parroco  a Massa  di Toano:  fra  costoro  c’è il rag. Teglio primo sindaco socialista di Modena. Nel febbraio 1944 il suo coraggio sorpassa ogni limite: all’Ospedale Civile di Modena è piantonato da due militi neofascisti un partigiano ferito: l’insegnante Alfeo Martini, un giovane cattolico militante. Don Monari con la complicità di un medico entra nell’ospedale, passa al partigiano degente un abito talare e lo fa uscire travestito da sacerdote eludendo la sorveglianza dei suoi custodi. Ma ormai la sua attività viene conosciuta: in seguito a una delazione, dalle autorità fasciste viene spiccato contro di lui un mandato di cattura; avvertito in tempo, si rifugia in montagna sull’Appennino modenese il 20 maggio 1944 e si reca fra le forze partigiane contro il volere dei suoi superiori che propendevano per la neutralità del clero modenese

IN MONTAGNA: PARTIGIANO FRA I PARTIGIANI

In montagna non accetta l’ospitalità del parroco di Palagano che voleva ospitarlo nella sua canonica, ma con il nome di battaglia di “don Luigi” si inquadra nella brigata partigiana democristiana “Italia” dove già milita suo fratello Erio. Vi resta due settimane, poi si reca a Montefiorino dove è ubicato il Comando generale delle forze partigiane: voleva esercitare infatti la sua missione sacerdotale presso tutti i reparti al di sopra di ogni distinzione di colore politico dando prova di coraggio, abnegazione e spirito cristiano di sacrificio con la sua presenza nelle azioni militari. Esercita sempre una funzione moderatrice fra le diverse e contrastanti correnti politiche democristiane, comuniste, socialiste ed azioniste che allora suddividevano ideologicamente le varie formazioni partigiane; nell’omelia delle messe quotidiane si preoccupa dei problemi della gente né dimentica gli inevitabili errori della guerriglia partigiana; si comporta con schiettezza e lealtà anche con coloro che ideologicamente sono più lontani dal suo credo guadagnandone la stima illimitata; assiste spiritualmente neofascisti e tedeschi rinchiusi nelle prigioni di Montefiorino riuscendo a sottrarre alla condanna a morte sia spie o presunte tali sia partigiani e militi neofascisti favorendo lo scambio reciproco dei prigionieri. Come sacerdote di Cristo effonde la sua carità su tutti: fu questo suo nobile sentimento a perderlo.

IL RIPERCORSO DEL MARTIRIO DI CRISTO: FLAGELLAZIONE, DILEGGIO, GOLGOTA.

Il 5 luglio 1944 don Monari si reca a Piandelagotti, che già apparteneva alla Repubblica partigiana di Montefiorino, per dare i conforti religiosi ad un delatore che doveva essere giustiziato. Contemporaneamente al suo arrivo giunge un numeroso reparto tedesco che ingaggia un furioso combattimento con il locale presidio partigiano. Don Elio interviene per soccorrere i feriti italiani o tedeschi che fossero ma, mentre impartisce l’olio santo a un tenente tedesco gravemente ferito, altri tedeschi lo riconoscono come un sacerdote partigiano dalla camicia americana che indossa sotto la tonaca; dopo essere stato colpito col calcio del fucile, viene catturato e condotto via dai tedeschi in ritirata. Lungo il tragitto verso le linee tedesche, urlandogli “Prete bandito!” lo percuotono ripetutamente: a S. Anna Pelago alcune donne lo vedono passare barcollante tra i tedeschi che lo percuotono, mentre urla: – Mio Dio, basta’ non ne posso più!  ‘

Viene poi condotto a Firenze dove, dopo essere stato interrogato dalla polizia tedesca, viene consegnato per ulteriori interrogatori alla famigerata ”banda Carità della polizia investigativa neofascista che era accasermata in via Bologna in una villa che, per la sua lugubre fama di luogo di tortura, era denominata “Villa Triste”. Qui viene a lungo torturato perché riveli i nomi dei suoi amici della Resistenza: è costretto a stare appoggiato a lungo al muro in punta di piedi e percosso quando, stremato dalla stanchezza, appoggia i calcagni sul pavimento; viene bastonato, legato e attorcigliato a un palo, quindi rotolato sul pavimento sino alla lussazione delle articolazioni. Ma don Elio sopporta tutte le sevizie senza che una parola di delazione esca dalla sua bocca. Il 20 luglio è bastonato a sangue ancora una volta; nei due giorni successivi, a dileggio della sua qualità di sacerdote, viene completamente denudato, legato all’esterno di una terrazza della villa ed esposto alla vista degli abitanti delle case circostanti e dei passanti della strada sottostante: in questa dolorante situazione resta tutta la giornata sotto il torrido calore del solleone di luglio. Dopo la flagellazione e il dileggio si avvicina la tragedia del Golgota. Il giorno 23 luglio, mentre è in carcere con altri sedici gappisti comunisti, viene avvisato che nel pomeriggio sarà giustiziato con gli altri prigionieri. Don Monari conforta i suoi compagni di sventura e li benedice. Il Golgota fu la Piazza Washington a Firenze dove è fucilato verso le 15 del pomeriggio – l’evangelica ora nona – con i suoi compagni di sventura. La sorte della sua salma rimase un mistero per circa una decina d’anni finché non fu ritrovata casualmente alle Cascine, ormai irriconoscibile, in un a fossa comune dove era tata riposta unitamente agli altri compagni di cella. Ora riposa nella Cappella partigiana del cimitero di Trespiano [Rifredi] (Firenze).

Solo sei sono i sacerdoti italiani decorati di Medaglia d’Ora al Valor Milita durante la Resistenza: uno di costoro è lo spilambertese don Elio Monari. Eccone la motivazione:

“Ministro di carità cristiana e patriota di sicura fede, subito dopo l’armistizio si prodigava, con solerte e generosa attività, nel soccorrere internati italiani e prigionieri alleati, molti ponendone in salvo ed alcuni sottraendo a morte sicura. Primo fra i Cappellani di unità partigiane operanti sull’Appennino modenese, era a tutti di indimenticabile esempio sia nel santo esercizio della sua missione sia nei pericoli dei combattimenti che sempre affrontava con valore di soldato e pietà di sacerdote. Per soccorrere un morente presso le linee nemiche e – come affermava ai compagni prima di uscire dai ripari – disposto a dare la vita allo scopo di salvare un ‘anima, veniva catturato dai tedeschi, spogliato dalle vesti sacerdotali, brutalmente percosso e inviato a lungo martirio nelle carceri di Firenze. Fra le atroci sevizie sopportate con la fermezza dei forti, sempre incoraggiava e confortava i compagni sofferenti, li benediceva prima di avviarsi all’estremo sacrificio.

Firenze, piazzale Washington, luglio 1944.

(dalla “Gazzetta Ufficiale della Repubblica”, n° 44 del 23 – 2 – 1954, p. 562).

Ci auguriamo che l’Amministrazione Comunale di Spilamberto organizzi una tornata di studi per fare degnamente conoscere questo suo figlio la cui figura, così nobile e così sventurata, si eleva nella luce sacrale del martirio.

 

[1] Queste “famiglie di fatto”, che si affiancavano alle famiglie tradizionali consacrate dal culto

ecclesiale, continuarono la loro missione anche durante la Resistenza quando don Zeno Saltini, per sfuggire ad un secondo arresto da parte delle autorità neofasciste, si rifugiò nell’Italia del Sud liberata dagli alleati. I giovani cattolici suoi seguaci aderirono allora nel territorio di Mirandola alla lotta di Liberazione e sei di loro furono catturati ed impiccati dai brigatisti davanti all’edificio dell’Opera Piccoli Apostoli di don Zeno: era il 30 settembre 1944.

Nel dopoguerra don Zeno Saltini fondò, nella Maremma toscana, “Nomadelfia” la città della fratellanza” in cui, secondo la prassi dei primi apostoli cristiani, la proprietà privata è subordinata alla proprietà comunitaria e vigono i principi della fratellanza universale