Correva l’anno 1943. Da tempo l’Italia era precipitata, a fianco della Germania hitleriana, nel secondo conflitto mondiale e, dopo l’ufficializzazione dell’armistizio con il proclama di Eisenhower dell’8 settembre, sarebbe sprofondata negli abissi della guerra civile. In una domenica della prima metà di quel terribile anno in un campetto adiacente ad un oratorio della prima periferia modenese, a Saliceta S. Giuliano, dalle menti di due preti, don Mario Rocchi[1] e don Elio Monari scaturì l’idea che porterà nel primo dopoguerra , alla nascita della Città dei Ragazzi.
La proposta di don Elio a quel tempo Assistente Diocesano della Gioventù di Azione Cattolica (GIAC) voleva allargare verso il cuore di Modena quanto di buono, in quel periodo così tormentato, don Mario era riuscito a creare a Saliceta S. Giuliano.
Già nei giorni seguenti quel fatidico incontro, con entusiasmo i due giovani sacerdoti – ricordiamo che entrambi erano nati nel 1913 – andarono a cercare l’area dove poter iniziare l’opera. In breve tempo fu individuata una zona in fondo a via Tamburini. Parliamo di un luogo periferico, in una Modena ancora di dimensioni ridotte, in cui la prima campagna lambiva il vecchio tracciato delle mura. In una di queste zone liminari doveva germogliare il fiore del progetto di don Elio e di don Mario.
Il progetto non poté essere portato subito a compimento: prima di tutto perché don Elio, a seguito del suo enorme impegno a favore dei prigionieri di guerra alleati e degli ebrei internati a Modena e alla scelta, nel maggio del 1944, di salire in montagna nelle file dei Partigiani, catturato dai tedeschi, venne portato a Firenze nella famigerata Villa Triste gestita dalla Banda Carità, dove fu fucilato – come ribelle – nel luglio dello stesso anno.
Di questo impegno e di quanto l’opera resistenziale di don Elio sia importante per capire da quali semi germogliò anche l’esperienza della Città dei Ragazzi modenese parliamo più diffusamente […]
Con l’arrivo, nel 1939, a Saliceta S. Giuliano, l’allora ventiseienne don Mario [Rocchi], oltre al supporto dei giovani della G.I.A.C., ottenne anche il benestare dai superiori per organizzare un grande oratorio parrocchiale. La passione come formatore di don Mario si rifaceva alle esperienze oratoriali di don Bosco e dei Salesiani ma si appoggiò anche sulle generose spalle delle suore Canossiane dell’asilo parrocchiale di Saliceta.
Come già ricordato, oltre duecento fra ragazzi e bambini frequentarono regolarmente l’Oratorio sotto la guida paziente e generosa di don Mario, il quale «si trasformava di volta in volta, in regista di teatro, in maestro di cappella, in arbitro di partite di calcio”[2].
Nello stesso periodo don Elio era già Assistente alla G.I.A.C., un’attività che affiancava a quella di insegnante presso il Collegio S. Carlo di Montombraro, dove rimase fino al 1939, quando iniziò l’insegnamento presso il seminario di Modena. Inoltre don Elio, dal 1937 al 1941, frequentò il corso letterario della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università Cattolica del S. Cuore di Milano: probabilmente questa iscrizione fu consigliata dai suoi superiori i quali in lui riconoscevano grandi doti culturali e pedagogiche rendendo così obbligata la scelta di destinare il giovane sacerdote non ad incarichi parrocchiali ma alla formazione delle nuove generazioni. Don Elio si laureò nel 1941 con una tesi su Cicerone[3].
La laurea consentirà a don Elio un impegno sempre con maggiori responsabilità nel campo della formazione dei giovani futuri sacerdoti ma anche e soprattutto nell’educazione dei laici della G.I.A.C. Ufficialmente dall’ottobre del 1938, nella pratica già dalla fine del 1937, don Elio si prende, da solo, tutta la responsabilità dell’assistenza alla Federazione giovanile con il tormento, che manifesta anche all’Arcivescovo in una sua lettera del 1939 di non poter dedicare alla G.I.A.C. tutto il tempo che sarebbe necessario[4].
Solo più tardi però, dal 1942, don Elio poté giovarsi dell’aiuto proprio di don Mario e di don Giuseppe Diaco (come don Mario ordinato sacerdote nel 1938 e insegnante in seminario). Eppure proprio in quel periodo così pieno di doveri per don Elio, la G.I.A.C. modenese toccò il suo vertice, sia in fatto di organizzazione che di qualità di impegno.
Gli iscritti del I943 sono 4620 per la maggior parte contadini (44%) e operai (30%), per quanto riguarda gli effettivi. Le associazioni parrocchiali sono 149: il massimo fino ad allora. Si incrementa notevolmente la partecipazione agli esercizi spirituali chiusi; la preparazione dei dirigenti è intensa […] si sostengono più attivamente le missioni [… ] La gara catechistica coinvolge un crescente numero di giovani e di associazioni [… ] Si attiva (anche sollecitando l’intervento finanziario del Vescovo) un ufficio lavoratori, che tenta, per la prima volta, un approccio mirato ai giovani operai delle fabbriche e la formazione di dirigenti ed animatori ad hoc [… ]. É costante e intensa la tessitura di rapporti (corrispondenza, invio libri, azioni di preghiera, ecc.) con i dirigenti e i soci soldati. Si fa consistente l’attività caritativa e di assistenza secondo le esigenze sollevare dalla guerra; è più attiva la S. Vincenzo e si organizzano prestazioni all’ufficio ricerca prigionieri, nonché squadre di soccorso dopo i bombardamenti nel febbraio 1944, ecc. La Federazione vive anni di intensa attività di promozione, coordinamento e stimolo, che si manifesta soprattutto nei frequenti pellegrinaggi (finché la situazione di guerra lo consente) e nelle settimane diocesane, sempre preparate e guidate con particolare cura da don Elio[5]
L’impegno di don Elio nella G.I.A.C. risulta essere, dalle testimonianze documentarie, come sottolinea Luigi Paganelli, unicamente di stampo spirituale e formativo, senza risvolti politici ma nemmeno sociali. In questo contesto il profondo spirito caritativo e assistenziale di don Elio si espresse con energia, volgendosi alla formazione di giovani “dotati di forte coscienza e di lineare personalità, abituati al lavoro organizzato e coordinato in forte spirito di amicizia, pronti a prestarsi generosamente per i più deboli e bisognosi di aiuto: i poveri, i lontani da casa, i prigionieri, i colpiti dalla calamità della guerra”[6].
L’energia formativa di don Elio, pur senza uscire dal terreno religioso, andò a costruire delle potenzialità che, anche se partendo da presupposti diversi, poterono essere spese, particolarmente in un periodo come quello della Seconda Guerra Mondiale, per l’impegno effettivo nel contesto socio-politico. Infatti, nel 1943, don Elio richiamò i presidenti e gli assistenti delle associazioni alle esigenze della situazione seguita alla destituzione di Mussolini del 25 luglio, sottolineando «il bisogno che il pensiero sociale del Papa venga più ampiamente volgarizzato».
Con un attivismo eccezionale don Elio riuscì a far fronte ad una serie impressionante di impegni: per adempiere a questa travolgente attività acquistò una moto (e, forse, fu l’unico prece modenese che si servì al tempo di un tale mezzo). In quegli anni è lui che riuscì a costruire e a valorizzare un nuovo gruppo dirigente della Federazione, tra le cui fila figurarono diversi giovani che ebbero poi un ruolo primario nella Resistenza e nelle responsabilità sociali, politiche ed ecclesiali del dopoguerra[7].
Don Elio, come vice-assistente della G.I.A.C., dimostrò notevoli capacità di costruire rapporti e si fece promotore, nel marzo 1943, di una Unione Assistenti Gioventù italiana di Azione Cattolica; ottenne anche l’appoggio dell’arcivescovo Boccoleri ma gli eventi bellici e politici gli impedirono di realizzare il progetto. Solo nell’autunno del 1943, alla ripresa delle lezioni in seminario, ottenne dal Vescovo di Modena di essere sollevato dall’insegnamento[8].
II ministero sacerdotale di don Elio non si esaurì comunque nell’opera presso l’Azione Cattolica e nell’insegnamento in seminario. Monari, residente nello stesso seminario modenese dal 1939, si impegnò da subito nell’adiacente chiesa di san Francesco, nella quale si mise a disposizione, come un cappellano, del parroco don Luigi Gualdi.21 In questa parrocchia don Elio entrò a contatto con tanti ragazzi e tante famiglie bisognose delle vie Tre Re e S. Paolo, in una delle zone di Modena al tempo più povere e malfamate. Come suggerisce Paganelli, «forse anche questa esperienza ha concorso a portarlo a capire, ad ammirare ed a seguire don Zeno Saltini ed a farsi Piccolo Apostolo»[9].
Di quest’altra scelta fondamentale – l’adesione all’Unione dei Sacerdoti Piccoli Apostoli di don Zeno Saltini [10].- per capire don Elio, il suo operato e le sue scelte, parleremo a breve. Per ora è necessario, in sintesi, sottolineare anche «la ricchezza e la generosità» del suo ministero sacerdotale; oltre all’impegno sopraccitato evidenziamo che don Elio fu membro del Terz’Ordine secolare della Beata Vergine del Carmelo dove tenne adunanze e ritiri, della Pontificia Opera della Propagazione della Fede, della Unione del Clero per le missioni e fu attivo promotore di iniziative per favorire le vocazioni missionarie. Fondò e assistette l’Associazione Piccoli Amici del Seminario e aderì alla Pontificia Opera della Santa Infanzia; nel 1942 volle mettersi a disposizione come Cappellano militare di mobilitazione e desistette dalla domanda solo perché i superiori non gli concedettero il permesso; nel 1943 inoltrò domanda per essere assegnato come cappellano del lavoro dei nostri connazionali residenti in Germania; da quello che è rimasto del suo epistolario si evince una capacità non comune di instaurare rapporti fiduciari e di amicizia.
La grande capacità di don Elio di creare ponti era le persone, di offrirsi come forte punto di riferimento per innumerevoli iniziative, in particolare a favore dei più deboli, ci dà preziosi spunti per capire da quale retroterra nacque anche l’idea della Città dei Ragazzi. II comune interesse ed impegno per la gioventù mostrato nei fatti sia dalla storia parrocchiale e oratoriale di don Mario, sia dalla corposa e poliedrica attività di don Elio, svelano le fondamenta concrete e solide sulle quali si poté edificare anche la nuova Città modenese[11].
«Percorrendo e precorrendo l’indole e la esigenza dei tempi»
Quanto appena detto mette in evidenza i caratteri di eccezionalità relativi alla figura di don Elio, caratteri che però non sono affatto in contraddizione con il modello tradizionale di prete in diocesi del suo tempo: siamo davanti ad una personalità che sviluppò i suoi caratteri di eccezionalità approfondendo e valorizzando quanto di più profondo poteva trovare nel suo vissuto di studi e di vita pratica arriva nel seno della Chiesa. Per questo lo stimarono profondamente sia Mons. Giuseppe Pistoni[12], rettore del seminario, sia il Vescovo Cesare Boccoleri, i quali, almeno fino al settembre 1943, appoggiarono le sue iniziative, ritenendolo una figura nel quale riporre grande fiducia.
La sua eccezionalità stava non nell’essere un prete di contestazione, anzi era animato da un tradizionale spirito di obbedienza verso le gerarchie. La differenza – che lo pose in parziale difformità con il modello sacerdotale del suo tempo e che lo portò a mettere in pratica scelte drastiche al momento della guerra civile – stava soprattutto nel non sentirsi un separato dalla umana circostante e dai problemi materiali della gente comune. Don Elio considerava il non credente sullo stesso piano del credente, sentendosi legato, senza differenza di fede religiosa e politica o di posizione sociale, a tutti coloro che avevano bisogno di amicizia e compassione, in ragione quindi dei loro bisogni reali, interiori e pratici.
Fu il non sentirsi separato dalla gente, nell’affrontare con fiducia e apertura l’incontro con l’altro, a portarlo a condividere positivamente esperienze con persone diverse; fu da questa forza interiore, da questa sorridente spinta all’accettazione e alla comprensione del prossimo che nacque e maturò il suo ministero popolare arrivando ad espletarlo anche nelle situazioni più drammatiche. Fu questo suo modo di sentire e di vivere che alimentò sia la sintonia con don Mario sia la decisione di aderire al gruppo dei Sacerdoti Piccoli Apostoli di don Zeno Saltini, futuro fondatore della comunità di Nomadelfia presso l’ex campo di concentramento di Fossoli. Possiamo dire che difficilmente potremmo capire l’opera e le ragioni di don Elio senza fare riferimento alla vicenda dei Sacerdoti Piccoli Apostoli di S. Giacomo Roncole di don Zeno.
Del primo incontro tra don Zeno e don Elio – e don Mario – non esiste documentazione[13]. È datata 21 agosto 1941 una lettera che testimonia lo scambio epistolare tra Saltini e Monari. Un’altra missiva, molto più tarda del 1990, di Mons. Pistoni a Luigi Paganelli, documenta che: “Quando ancora d. Elio era a Montombraro […] d. Zeno salì parecchie volte a Montombraro e s’intrattenne con lui e con d. Rocchi: così mi hanno confermano d. Rocchi e Mons. Boilini [Gino) che pure allora risiedevano a Montombraro. Non si trattava, penso, d’un iniziatore e di discepoli, ma di confratelli che, già ispirati ai medesimi ideali, si illuminavano e confortavano a vicenda”[14].
Ricordiamo che don Elio fu uno dei sette preti – tra i quaranta sacerdoti seguaci di don Zeno – che composero e sottoscrissero il testo dello statuto dell’Unione dei Sacerdoti Piccoli Apostoli; condivise quindi le motivazioni e i progetti dello Statuto 30, praticare in modo eroico il comandamento dell’amore: non accumulare beni e mettere a disposizione ogni provento economico, «immolare corpo e anima nel santificare tutte le forme della vita del popolo percorrendo e precorrendo l’indole e la esigenza dei tempi»[15].
Di questo progetto e importante sottolineare la voglia di non restare fuori dal proprio quotidiano, con l’intenzione di anticipare le esigenze reali della gente e la previsione di potere o dovere «immolarsi» cristianamente per il popolo. Nei preti più vicini a don Zeno, appare una particolare capacità di lettura dei tempi e la consapevolezza dei gravi problemi delle masse popolari, messe ancora maggiormente alla prova, oltre che dalle necessità quotidiane relative ai bisogni primari quali la fame e il lavoro, anche dalla difficilissima situazione provocata dalla guerra. II loro impegno era rivolto ai più deboli – una maggioranza silenziosa – con lo scopo di riportarli «a Dio nella santificazione delle loro giuste aspirazioni cristiano-sociali» e di ridurre «l’abisso» che oramai divideva i sacerdoti e la popolazione.
L’esplicita intenzione dei Sacerdoti Piccoli Apostoli di stare tra la gente e condividere con essa le difficoltà – «lieti anche nel martirio» – chiarifica bene, concentrandoci su don Elio e immaginando la condivisione di intenzione con don Mario, quale sostanza interiore e quale cultura del fare – sempre nel nome di Cristo – contraddistinse qualsiasi loro progetto. Anche l’idea della Città dei Ragazzi nacque da queste intenzioni, tra la tempesta del periodo più nero per l’Italia in guerra per poi svilupparsi sulle esigenze pratiche, quotidiane e improrogabili dei giovani più indifesi di una Modena appena uscita, grandemente colpita, dal secondo conflitto mondiale.
Una riprova della condivisione piena da parte di don Monari delle valutazioni e dei propositi di don Zeno si può in certa misura trovare anche nel fatto che in quegli stessi primi mesi del 1943, egli assieme all’amico don Mario Rocchi da avvio al progetto di costruzione della Città dei Ragazzi di Modena[16].
Come già detto, la Città dei Ragazzi di Modena prese concretamente forma negli anni difficili del secondo dopoguerra. L’idea fondatrice sbocciò dall’incontro delle sensibilità e dei progetti di don Elio e don Mario: sappiamo che, nel febbraio del 1943, i due chiesero ad un amico, l’architetto Malagoli, di iniziare un progetto e individuarono nell’area dei paduli di via Tamburini il luogo adatto per la loro iniziativa.
Da una testimonianza di don Mario e da una lettera di quel febbraio 1943 sappiamo che don Elio iniziò subito, con la consueta energia, a cercare la collaborazione di altri sacerdoti per il futuro progetto oltre a finanziatori che potessero assicurarne concretamente la costruzione e il mantenimento.
La richiesta di finanziamento al già ricordato industriale Vismara, effettuata fin dall’inizio del 1943, ci dice come l’ansia di «percorrere e precorrere i tempi» di questi sacerdoti si esplicitò in atti concreti volti a creare iniziative sociali di stampo cristiano.
Anche l’impegno resistenziale, che coincise con una scelta netta di parte, sia di don Elio sia di don Mario, dimostra chiaramente questo atteggiamento – questo progetto – di vita quotidiana. Una scelta netta, senza premesse politiche, ma nutrita da una rivolta morale contro la negazione dell’uomo e le discriminazioni e le violenze messe in atto, in un crescendo sempre maggiore dal settembre 1943, dai nazifascisti contro ebrei, prigionieri politici e oppositori di qualsiasi credo.
Pare corretto, anzi necessario, in questa sede, ricordare, anche se in maniera
sintetica, l’enorme impegno profuso per resistere a questa negazione dell’essere umano: azione che vide don Elio tra i maggiori protagonisti – anzi tra i promotori – dell’organizzazione resistenziale cittadina e don Mario come suo – anche se troppo poco – documentato collaboratore in diversi momenti.
Senza questo impegno per affermare il diritto alla libertà dell’uomo non si potrebbe capire pienamente l’animo di un’iniziativa come quella della Città dei Ragazzi, del suo carattere esplicitamente ecumenico e democratico e del suo scopo finale, la creazione di cittadini consapevoli e di una comunità libera e unita in uno spirito cristiano di fratellanza.
Se alcune suggestioni per l’organizzazione della nuova Città modenese dovettero giungere a don Mario anche dal cinema, con la visione de “La Città dei Ragazzi” di Norman Taurog del 1938 (ma proiettato in Italia solo nel dopoguerra) ma anche dall’esperienza scoutistica cattolica, ci pare indubbio che le maggiori sollecitazioni per la costruzione e organizzazione della nuova Città siano giunte dal concreto impegno sociale e spirituale di entrambi i sacerdoti durante la guerra.
Sono quindi la condivisione di intenti con i Sacerdoti Piccoli Apostoli di don Zeno, l’ispirazione data dallo stesso Saltini nelle contrastate iniziative comunitarie degli anni Trenta presso la piccola parrocchia di S. Giacomo Roncole nel mirandolese e l’attiva partecipazione all’azione resistenziale in città e provincia le maggiori fonti di ispirazione per i creatori della Città dei Ragazzi di Modena.
Ribelli per amore
II concetto giusto di resistenza è quello che la configura come rivolta morale contro la negazione dell’uomo, quale era contenuta nel nazismo e nel fascismo, e impegno a servizio di un ideale di dignità umana e di libertà, nel rifiuto di ogni prevaricazione contro l’uomo ed i suoi diritti naturali”[17].
Questo è il concetto espresso da Papa Carol Wojtyla nel suo messaggio della domenica di Pasqua del 1985 ricordando il quarantennale della fine della Resistenza e della guerra:
“Resistettero non per opporre violenza a violenza […] ma per affermare un diritto ad una libertà, per sé e per gli altri, anche per i figli di chi era allora oppressore […] Questa fu la loro resistenza”[18].
Di fronte alla “negazione dell’uomo” del nazifascismo, la chiara vocazione missionaria di don Elio si andò a poco a poco ad integrare con una netta scelta resistenziale: don Elio, in sintonia con don Zeno ed il gruppo dei Sacerdoti Piccoli Apostoli, dedicò anima e corpo ad un impegno di solidarietà “evangelica” rivolto a tutti coloro che soffrivano a causa delle ingiustizie portate dalla guerra. Tale scelta maturò attraverso un fitto scambio di idee ed osservazioni sulla realtà quotidiana e sull’essere prete nel proprio tempo, sia con gli amici confratelli coetanei – il nostro don Mario e don Giuseppe Diaco – sia con i suoi superiori in seminario, i decisamente antifascisti don Marino Bergonzini e don Giuseppe Pistoni. Elementi di consapevolezza debbono essergli giunti, in seguito, anche dai rapporti con don Roberto Angeli, con don Attilio Bondi di Spilamberto e soprattutto con Mons. Carlo Dondi, parroco di S. Biagio, dove, a fine 1943, lasciato il seminario, si trasferì a vivere. E probabilmente attraverso quest’ultimo che don Elio conobbe Alessandro Coppi, capo degli ex-popolari.
Come suggerisce lo storico Paolo Trionfini, l’audace esperimento lanciato da don Zeno e dai suoi Sacerdoti Piccoli Apostoli permise agli aderenti di realizzare quell’immagine sacerdotale dell’alter Christus appresa – in maniera astratta – in seminario. In questo panorama, nell’animo di diversi sacerdoti modenesi, si delineò l’idea di identificare la parrocchia non più come uno spazio fisico definito, ma come una comunità di persone dai confini sfumati e cangianti. Immergendosi nella storia i “sacerdoti resistenti” andarono a sviluppare una sensibilità pastorale che teneva conto soprattutto della concretezza della vita delle persone in una reale comunione carica di pericoli ma anche di aspettative e significati. Questa idea, diventata azione pulsante a favore dei più deboli, permise lo sviluppo di nuovi rapporti con le proprie comunità che, come appena ricordato, prescindevano dai tradizionali limiti parrocchiali: pure nella Città dei Ragazzi troveremo realizzato questo movimento verso uno spirito comunitario che poneva come soggetto principale l’uomo nella sua socialità e non più la rigidità dei confini territoriali soggetti ad un singolo parroco. 42 “Una delle primissime iniziative resistenziali riguardò l’aiuto ai nostri soldati fatti prigionieri dai tedeschi […] e poi in seguito ai militari alleati fuggiti dai campi di Fossoli e Modena ai quali, in alcuni casi, vanno aggiunti i fuggitivi dal campo di Fontanellato [… ] e di Isola della Scala […] Don Monari diede inizio alla propria attiva partecipazione alla Resistenza civile mettendo in salvo soldati italiani che erano fuggiti dalla Cittadella”[19].
L’agire concreto di don Elio per aiutare i prigionieri alleati che fuggivano dai tedeschi ebbe inizio già nel settembre 1943. In collaborazione con altri uomini impegnati in questa opera, come i comunisti Olinto Cremaschi e Giuseppe Masi, l’azionista Arturo Anderlini 45 e il cattolico Mario Lugli don Elio riuscì ad organizzare il soccorso ai prigionieri alleati garantendo vestiti, abitazioni sicure che ospitassero momentaneamente i fuggiaschi, cibo e ancora documenti falsi e denaro per pagare i contrabbandieri negli eventuali passaggi in Svizzera.
Secondo le testimonianze di diversi ufficiali inglesi esisteva una ‘Modena underground Organisation’ (Organizzazione Sotterranea Modenese) 48 che nel periodo tra il settembre ed il dicembre 1943, salvò circa duecentocinquanta prigionieri britannici. Sappiamo che il 12 settembre un gruppo di ufficiali riuscì a scappare da un treno carico di prigionieri fermo in stazione: Thomas Roworth, Robert Wilson, Gunner Lieutenant (conosciuto come Nat Wiltshire), Paul Ted e Terry Muirhead. Le testimonianze degli ufficiali parlano esplicitamente dei contatti tra lugli, Anderlini e don Elio ai quali va aggiunto anche don Benedetto Richeldi.
Oramai nota è la vicenda della fuga a Roma di Roworth e Wilson che, travestiti da commessi viaggiatori e accompagnati da tre sacerdoti, i nostri don Elio e don Mario oltre a don Oddo Tacoli (all’epoca ancora seminarista ventitreenne), riuscirono a raggiungere la capitale dove, dopo un viaggio di circa quaranta ore, furono messi in salvo presso abitazioni attigue a Piazza S. Pietro. I viaggi che don Elio compì a Roma furono diversi – è probabile che in più di un’occasione fosse presente anche don Mario – e consentirono di mettere in salvo molti fuggitivi alleati.
Don Elio, attraverso una rete di fidate conoscenze, otteneva abiti per i travestimenti e documenti falsi. Da dati raccolti negli ultimi anni dagli storici della Resistenza, si evince come don Elio fu uno degli artefici della centrale di fabbricazione di documenti falsi di Modena che consentì, anche a tanti ebrei internati nel modenese, di mettersi in salvo fuggendo dalle terre controllate dai nazifascisti. Di certo, tramite Goffredo Pacifici, don Elio collaborò anche con don Arrigo Beccari un altro dei firmatari dello statuto dei Sacerdoti Piccoli Apostoli e, in quel periodo, parroco nonantolano e molto vicino ai ragazzi ebrei tedeschi e croati ospitati a Villa Emma. Tale organizzazione degli espatri clandestini degli ebrei di Villa Emma è confermata da una lettera di un ufficiale inglese datata 17 gennaio 1944.
L’impegno di don Elio fra i giovani dell’Azione Cattolica consentì, dal settembre 1943, di animare una complessa rete di comunicazioni tra le parrocchie della montagna modenese dove si poterono rifugiare tantissimi ebrei. Sempre a favore degli ebrei ricordiamo i salvataggi effettuati con l’aiuto della clinica Villa lgea, in località Saliceta san Giuliano: il professore modenese Enrico Ferri suppone con ragionevolezza che dovette essere don Mario, dal 1938 cappellano presso questa parrocchia, a tenere i contatti tra l’organizzazione resistenziale e i responsabili della clinica.
L’impegno resistenziale di don Elio, qui riportato in maniera molto sintetica, dimostra le qualità di un sacerdote che, in uno dei momenti più critici della storia del nostro paese, operò con grande coerenza attraverso scelte estreme, ribellandosi – per amore – alla dittatura, alle violenze, alle discriminazioni che colpivano inermi e innocenti. La sua presenza, fino al triste giorno del martirio – consumato il 16 luglio 1944 a Firenze ad opera della famigerata Banda Carità [Bernasconi] – fu (ed è ancora) di esempio per i giovani tra cui amava trascorrere i momenti di impegno ma anche di svago. La sua fu un’opera di una «guida sicura, forte, temeraria, gioiosa», consapevole della necessità dell’azione attraverso un modo nuovo di concepire l’essere sacerdote[20]. Di tale esperienza, di questo nuovo modo di concepire il proprio ministero sacerdotale, ha goduto anche il progetto della Città dei Ragazzi. Crediamo che sia facile riscontrare, in questo percorso così intenso dei due sacerdoti don Elio e don Mario, le radici di quell’interesse concreto verso la quotidianità del popolo e in particolare verso i giovani, supportato da forti valori umani e cristiani, che porterà alla costituzione e alla forte crescita della Città modenese. (…)
MODENA NEL DOPOGUERRA
Nella Modena del dopoguerra, assieme all’esperienza della Città dei ragazzi, nata dall’idea di don Elio e don Mario, emergono altri importanti iniziative. Più nota fra tutte quella di Nomadelfia a Fossoli, a cura di don Zeno Saltini. Come già ricordato, don Zeno iniziò la sua opera di lotta alle diseguaglianze e di aiuto all’infanzia abbandonata già nel 1933, quando aprì le porre della sua canonica al Casinone, nel mirandolese, a tutti i ragazzi che necessitavano di accoglienza. In questa parrocchia, con l’Opera dei Piccoli Apostoli, dette vita ad una prima famiglia stabile che nel corso degli anni si amplio sensibilmente. Per organizzare più fluidamente la convivenza, egli decise di suddividere, in una sorta di sottogruppi familiari, la comunità che gli si era stretta attorno, nominando un responsabile per ciascun nucleo, ciascuno con otto ragazzi che, pur nel contesto ampio solidaristico, potevano gestirsi con una certa autonomia.
Delle vicende dei Piccoli Apostoli di don Zeno durante la guerra abbiamo già brevemente parlato. Don Zeno, ricercato dalle autorità nazifasciste, era riuscito a rifugiarsi nel sud Italia dove, anche negli ultimi mesi prima della liberazione, aveva continuato la sua opera di solidarietà. Rientrato a San Giacomo Roncole il 1 maggio del 1945, don Zeno poté finalmente ricongiungersi ai suoi “figli”. Nel 1947 fu il promotore, assieme ai suoi Piccoli Apostoli, dell’occupazione pacifica del campo di Fossoli e grazie alle sovvenzioni statunitensi nell’ambito del Piano Marshall, agli aiuti della Pontificia Commissione Assistenza, all’interessamento dell’Assistenza Post-Bellica, riuscì a provvedere alle prime necessità della comunità. II 14 febbraio 1948 la comunità si diede una Costituzione: quel giorno nacque Nomadelfia. La grande lezione di don Zeno “il precursore”0”, si iniziò ad irradiare già al tempo della dittatura fascista quando ovviamente non c’era nessuna possibilità che la sua missione avesse uno sfogo apertamente sociale.
Egli, Tra le difficoltà enormi di quegli anni, cominciò una rivoluzione pacifica della tradizionale carità verso l’infanzia, togliendole quanto di restrittivo e di gelido la mortificava, donando per la prima volta ai ragazzi abbandonati non lo squallore di un orfanotrofio, coi suoi orari, regole ed obblighi quasi sempre non sentiti e non capiti dai bambini, ma il calore di una famiglia, la libertà di un’infanzia normale e l’affetto di una mamma attraverso le famose famiglie d’elezione[21].
Scandalizzando le autorità benpensanti, parlava sempre dicendo la verità anche che se sapeva che sarebbe risultata sgradita a qualcuno, sempre a viso aperto ebbe «battaglieri rapporti d’amicizia» con i comunisti locali e, pur mantenendo le distanze da teorie per lui incondivisibili, non si chiuse mai in uno sterile isolazionismo, cercando nel Vangelo i punti di unione con i propri avversari piuttosto che mettere in risalto le differenze di idee e dell’agire sociale e politico[22].
Questo anticonformismo vero, proposto in un periodo in cui non era affatto facile e conveniente essere fuori dal coro, fu il radicale cambiamento che apportò don Zeno – da Fossoli fino a Grosseto con l’aiuto di don Luigi Bertè e don Ennio Tardini – e che cementò quella nuova tendenza avanguardista di una parte del clero modenese a praticare un’attenzione particolare verso il popolo ed in particolare verso i giovani.
Altre iniziative d’avanguardia nell’ambito della formazione dei giovani e della solidarietà furono quelle di mons. Arrigo Beccari, di mons. Vincenzo Benatti e di don Ivo Silingardi. Don Beccari69 fondò e mantenne nella canonica a Rubbiara la “Scuola di Avviamento Professionale” e lo fece in un periodo in cui nessuno parlava ancora di studi secondari per il popolo nella bassa.
In tal modo i figli dei braccianti del luogo hanno avuto possibilità di sottrarsi all’incerto e misero lavoro dei loro padri. Ma soprattutto con questa scuola don
Beccari faceva sue le profonde convinzioni di don Lorenzo Milani che scrive: “È
solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intendere l’espressione
altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Trasformata in Scuola Media dell’obbligo, l’istituzione di don Beccari venne da lui corredata di corsi per la lavorazione del legno e della ceramica”.
Mons. Armando Benatti creò un vastissimo complesso che – partendo dall’istituto carpigiano delle Attività Cattoliche per la Gioventù – divenne Associazione nazionale di Addestramento Professionale con direzione a Milano e sedi in diverse regioni italiane, tutte provviste di convitto e con lo scopo di permettere ai ragazzi di apprendere un mestiere. Sempre dal carpigiano emerse un’altra significativa iniziativa a cura di don Ivo Silingardi: il Centro Kennedy, un doposcuola che offriva competenze di assistenza allo studio per i tantissimi che, nel secondo dopoguerra, non potevano avere nessun aiuto dalla famiglia. Lo stesso don lvo, scomparso da pochi mesi, nel maggio 2016, negli anni Cinquanta fu il fondatore della scuola alberghiera Nazareno di Carpi, una delle più apprezzate in Italia.
Le esperienze promosse da don Zeno e da don Arrigo, da Mons. Benatti e da don lvo, anche se di taglio diverso, nascono dallo stesso fertile terreno di idee ed esperienze sorte nell’ambiente sacerdotale durante il fascismo e il periodo di guerra; lo stesso vale per la Città dei Ragazzi di Modena.
È innegabile che, nell’immediato dopoguerra, queste istituzioni, generate da
uno spirito decisamente anticonformista, furono in contrasto con l’orientamento moderato e conservatore di quella parte del clero che appoggiava la rinata attività politica democristiana. Erano gli anni del progetto di Pio XII che si riprometteva di ricostruire una società cristiana fondata sui grandi principi della convivenza civile dettati dalla Chiesa come unica fonte di moralità da trasporre anche all’interno del nuovo stato italiano. Tale disegno egemonico era in diretta opposizione a quello comunista e, in particolare nelle nostre zone, proprio in contrapposizione al forte campo avversario trovò terreno fertile.
In questo contesto, non sempre favorevole, l’ambito assistenziale fu comunque capace di sfuggire a dinamiche specificatamente politiche. Anche se, come sottolinea lo storico Maurilio Guasco: “Non si può certo escludere che da parte di alcune istituzioni si potesse pensare di utilizzare con qualche scopo propagandistico anche gli aiuti umanitari, soprattutto quelli provenienti dagli Stati Uniti d’America … di certo non vi erano tali strategie nell’attività di quei preti che in numerose circa fondavano Istituti per assistenza alla gioventù in difficoltà, quali le varie Città dei Ragazzi”[23].
Tale conclusione dello storico Guasco ci pare possa rendere veritiera giustizia all’impegno e alle realizzazioni dei sacerdoti che, dalle difficoltà e dalle rovine prodotte prima dalla dittatura, poi della guerra, riuscirono a generare forme concrete e durature di fratellanza e solidarietà che, anche se in modi e con strumenti diversi, ancora oggi possono essere luoghi creativi per una società migliore.
Prof Michele Simoni
[1] Mons Mario Rocchi— don Mario Rocchi; nato ad Acquaria di Montecreto nel 1913. Morto a Modena il 20 ott 2014
[2] A. LEONELLI, I 50 anni della Città dei Ragazzi di Modena, Tip. Paltrinieri, Modena 1997.
[3] La copia della tesi di laurea è consultabile presso il Centro culturale L. Ferrari di Modena.
[4] Archivio Centro Culturale L. Ferrari, Fondo DLM, Modena.
[5] L. PAGANELLI, Don Elio e Chiesa e società a Modena tra guerra e resistenza (1940-1945), Mucchi, Modena 1990.
[6] Ib.
[7] Tra di essi: Mirco Campana,Gian Franco Ferrari,, Franco Fiorani, Ermanno Gorrieri, Giovanni Manfredi, e William Zironi, Cesare Bonacini, Gian Paolo Feltri, Giuseppe Ori, Emilio Salotti e Oddo Tacoli
[8] Archivio Centro Culturale L. Ferrari, Fondo DLM, Modena.
[9] Don Zeno Saltini Fossoli 1900 – Nomadelfia 1981.
[10] È tra i sette firmatari dello Statuto dei Sacerdoti piccoli Apostoli nella notte tra il 2 e il 3 di Febbraio 1943 a S. Giacomo Roncole.
[11] Cfr. L. PAGANELLI, Don Elio e Chiesa e società a Modena tra guerra e resistenza (1940-1945), Mucchi, Modena 1990.
[12] Mons. Giuseppe Pistoni, Palagano 1900 – Modena 1990.
[13] Don Mario in una omelia del 1984 davanti alla tomba di don Elio ricorderà un incontro con don Zeno a S. Giacomo Roncole dove Lui e don Elio si recarono in tandem.
[14] Archivio Centro Culturale L. Ferrari, Fondo DLM, Modena.
[15] Statuto Sacerdoti piccoli Apostoli.
[16] Cfr. L. PAGANELLI, Don Elio e Chiesa e società a Modena tra guerra e resistenza (1940-1945), Mucchi, Modena 1990.
[17] Ib.
[18] Giovanni Paolo II, Osservatore Romano, 9-10 aprile 1985.
[19] E. FERRI, Il sorriso dei ribelli, Giuntina, Firenze 2013.
[20] Ibid.
[21] Elemento specifico dell’organizzazione di don Zeno: le madri nubili per più figli.
[22] I. VACCARI, Il tempo di decidere, Modena, 1968
[23] M. GUASCO, Storia del cloro in Italia dall’Ottocento a oggi, Roma-Bari 1997, pp. 233-234.