Di don Elio non abbiamo molti scritti, ci restano la sua tesi di laurea sul “De legibus” di Marco Tullio Cicerone, del 1941, diverse lettere al Vescovo e ai giovani, relazioni e materiali del tempo in cui era vice assistente della G.I.A.C., appunti, cartoline, foto, documenti personali e poco altro. Chi lo conosceva ha affermato che non amava la scrittura ed il suo pensiero preferiva esprimerlo a voce o calarlo nei fatti. L’intento quindi di ricostruire la sua fisionomia spirituale partendo dai suoi scritti risulta impossibile. S’impone perciò, una partenza diversa che per qualcuno potrà essere addirittura preferibile volendo conoscere con maggior rigore non una speculazione astratta ma la vita interiore dell’uomo e del prete sulla base dei fatti.
Si incomincerà quindi dal suo vissuto, dai tanti aneddoti che di lui sono stati trasmessi, da ciò che i suoi confratelli, amici e conoscenti hanno appreso dalle sue labbra, dai racconti di tanti la cui vita, anche se per breve tempo, si è accompagnata o è stata avvicinata dalla sua, dalle forti emozioni che ancora trasudano dalle storie di quanti hanno sperimentato la sua incomparabile carità.
La tentazione di una esaltazione fuori luogo del personaggio semplicemente a motivo del martirio subìto e della crudeltà dei suoi carnefici come anche per le sue gesta eroiche e patriottiche, potrebbe essere, anche in questo caso, suggerita da una certa storiografia datata ma è preferibile soffermarsi su gesti anche umili e parole di tutta una vita che dicono la santità di chi volle rispondere ‘da subito’ e appassionatamente agli appelli drammatici della sua gente.
Il sottotitolo di questa biografia ripropone anche le considerazioni di alcuni che lo hanno conosciuto commentando: “don Elio o è santo o è pazzo”[1]. Questo modesto lavoro potrà portare ad una conclusione piuttosto che ad un’altra, dipenderà dall’ottica da cui si guarderà il personaggio anche se appare ovvio che la sua follia ha molto della straordinarietà ed eroicità della virtù che la Chiesa riconosce nei suoi santi.
Da parte mia ritengo che vi sia materiale sufficiente per delineare una santità della persona legata a scelte precise e ad una coerenza estrema con il dettato evangelico. Se la preoccupazione di don Zeno Saltini, uno dei suoi maestri, era l’incoerenza ecclesiale pratica con la lettera del Vangelo, – e certamente non gli mancava un certo fondamentalismo interpretativo – quella di don Elio era l’offerta quotidiana e totalitaria di sé stesso, sull’altare della storia, per salvare innanzitutto la vita di esseri umani.
Una speciale attenzione meriteranno i materiali da lui sottoscritti nonché le frasi, le parole e qualche breve discorso a lui attribuito anche se non si potrà garantirne l’assoluta fedeltà a quanto realmente detto.
Per grazia di Dio la vita di don Elio ha parlato forte, anzi possiamo dire che in certi momenti ha “gridato a squarciagola”[2], direbbe il profeta, e il suo messaggio è arrivato al cuore di tanti e non solo nelle nostre città italiane ma oltre i mari.
Il sacerdote don Amedeo Tintori scrivendo dei preti nella resistenza a cui lui stesso partecipò assieme a don Elio, con le sue parole ci fa molto pensare: “La Resistenza (…) ha offerto alla Chiesa una occasione e uno stimolo a riflettere su sé stessa e a rinnovarsi e a rinnovare il suo modo di essere nel mondo. (…) Ora ci rendiamo conto che la Resistenza – insieme alla guerra – è stata occasione stimolante per rivelarci un nuovo tipo di santità”[3]. A queste riflessioni egli fa seguire un elenco di diversi santi martiri cristiani “della nostra epoca”, alcuni poi canonizzati come da lui auspicato.
Ed è lui[4] che accanto a S. Massimiliano Kolbe, S. Edith Stein, S. Tito Brandsma, S. Carlo Gnocchi, Il Servo di Dio don Zeno Saltini, il ven. don Antonio Seghezzi, il B. Giuseppe Girotti, il B. Teresio Olivelli, il ven. Giuseppe Lazzati, don Aldo Mei, – io aggiungerei il Beato Odoardo Focherini e il ven. Giorgio La Pira, – colloca don Elio Monari.
Ci auguriamo che questo ulteriore contributo alla conoscenza di don Elio Monari possa anche rappresentare in questa celebrazione dell’80° anniversario del suo martirio assieme a quello di tanti altri preti, un motivo valido per dichiaralo finalmente Giusto tra le nazioni e introdurre la sua causa di beatificazione.
Di don Elio si è scritto abbastanza, non mancano alcuni studi seri anche in questi ultimi anni, ma nella maggioranza dei casi ci si è limitati a comporre dei brevi profili biografici concernenti le vicende ultime del suo impegno pastorale e della sua vita. Tutto ciò è certamente positivo ma rischia di non far cogliere la sua figura in tutta la ricchezza e soprattutto nelle motivazioni più profonde che lo hanno mosso.
Questo modesto lavoro, partendo e valorizzando abbondantemente e doverosamente tutto ciò che fin qui è stato acquisito per la conoscenza diretta della persona e la paziente indagine è un tentativo, di sintesi e un ulteriore contributo alla ricerca sulla sua breve ma densissima storia. Il personaggio è originale e l’uomo don Elio con i suoi ideali, la sua vita spirituale e presbiterale e l’impegno sociale, politico e resistenziale si compenetrano armonicamente e formano un’ammirabile unità.
NOTIZIE BIOGRAFICHE FONDAMENTALI
Nasce il 25 ottobre 1913 a Spilamberto, località (ora via) Poggioli, 2, allora Parrocchia di sant’Adriano. Attualmente via Poggioli è nel territorio della Parrocchia della Beata Vergine Immacolata di Lourdes di Ruola – Cà di Sola, comune di Spilamberto (Mo).
Viene battezzato lo stesso giorno della nascita nella sua parrocchia a Spilamberto. I genitori sono Augusto e Luigia Ori agricoltori prima mezzadri e poi affittuari. Secondo figlio di sei tra fratelli e sorelle compresa una cugina adottata dai genitori.
Nel 1915 la famiglia si trasferisce in un podere in località Bell’Italia a Maranello, poi nel 1925 nei pressi di Modena, dal 1933 è a Sassuolo e ancora a Sassuolo alle Casiglie dal 1939 in un altro fondo.
Frequenta tutte le scuole elementari a Maranello. Nel 1924 è convittore all’Istituto Sacro Cuore a Modena dove inizia il ginnasio.
Dal 1927 al 1929 continua il ginnasio presso il seminario di Fiumalbo.
In questo periodo manifesta una chiamata per la vita missionaria che vorrebbe seguire nella Compagnia di Gesù ma incontra un’opposizione forte da parte della famiglia e deve abbandonare il progetto.
Alla fine del 1929 entra nel seminario metropolitano per il settennio di formazione in vista del sacerdozio.
Viene ordinato sacerdote da Mons. Ferdinando Bussolari nella Chiesa di San Pietro a Modena il 28 giugno 1936, all’età di 23 anni con dispensa pontificia per difetto di età.
Dopo l’ordinazione, nel 1937 si iscrive all’Università di Milano per il corso di laurea in lettere che consegue nel 1941.
Ma dal 1937 è già insegnante di lettere al Collegio-Ginnasio S. Carlo di Montombraro tenuto dai sacerdoti diocesani, e dal 1941 di latino e greco al Seminario Metropolitano di Modena fino al 1943.
Nell’ottobre 1938 è nominato Vice-assistente diocesano della G.I.A.C.
Nel 1943 chiede all’Arcivescovo C. Boccoleri di poter essere dispensato dall’insegnamento in seminario per potersi dedicare esclusivamente alla formazione cristiana della gioventù, ciò che gli viene concesso a partire dall’anno scolastico 1943-1944.
Nel 1943, con la caduta di Mussolini e l’8 settembre è impegnatissimo oltre che con l’A.C. a creare una rete segreta per la salvezza dei militari italiani e stranieri in pericolo di deportazione e per formare e i giovani cattolici alla disobbedienza civile e organizzare il conseguente loro coinvolgimento nella contrapposizione alla dittatura dominante. Crea in seminario un ufficio per la falsificazione di documenti necessari per aggirare le leggi inique e persecutorie e proteggere le categorie più a rischio.
Così può operare celermente anche per la salvezza degli Ebrei perseguitati cercando luoghi per nasconderli e vie di fuga per la Svizzera e il sud.
Nel maggio del 1944 in seguito alle informazioni di un delatore a lui vicino viene spiccato un mandato di cattura da parte della Guardia Nazionale Repubblicana di stanza a Sassuolo che emana l’ordine per cui don Elio Monari “deve essere immediatamente arrestato a qualunque costo”.
Dal 20 maggio 1944 sceglie di unirsi ai suoi giovani della G.I.A.C. che hanno deciso di salire in montagna da resistenti e scegliendo però di diventare cappellano di tutte le formazioni partigiane indipendentemente dagli orientamenti politici e vigilando per evitare violenze indiscriminate, soprusi, liberare gli innocenti e salvaguardare la giustizia.
Arrestato dalle SS a Piandelagotti di Frassinoro (Mo) il 5 luglio 1944 e trasferito a Firenze in Via Bolognese, 67 (Villa Triste) viene prima torturato e poi fucilato al parco delle Cascine a Firenze il 16 luglio 1944 con altri 16 partigiani.
I suoi resti, ritrovati e recuperati solo nel 1956 riposano ora con quelli di 16 compagni di martirio nel cimitero di Rifredi a Firenze nelle cappelle dei caduti.
LA PERSONA
Il ritratto fisico accanto a quello del carattere tracciato da quelli che lo hanno conosciuto, ce lo descrivono sinteticamente: “Un giovanottone chiaro sui trent’anni con una fronte aperta e quel sorriso sul labbro che mai nessuno, (…) è stato capace di spegnere. Simpaticissimo. Si definiva il più bel prete di Modena e rideva, rideva rumorosamente tra i suoi giovani…”[5]. Alcuni lo hanno conosciuto come il sacerdote biondo di Modena[6].
Le varie foto che abbiamo di lui confermano soprattutto la dolcezza del suo sorriso. Dicono ancora i suoi amici: “Quando ci si meravigliava della sua resistenza fisica e di certe sue “maratone” ricordava di frequente e con fierezza la sua origine: ‘Sono di razza contadina, razza sana’, esclamava e parlava del padre dal fisico robusto di cui si considerava erede, con ammirazione”[7].
“Di carattere buono, – dicono ancora i suoi giovani -allegro, gioviale, lieto, sempre pronto dove la sua presenza era gradita, desiderata, necessaria. Confortava tutti con la sua parola, aiutava tutti con la sua carità, ammaestrava tutti con la sua dottrina. Assumeva in sé tutte quelle caratteristiche che un sacerdote deve possedere: padre, maestro, ministro”[8]. “È unanime la testimonianza – afferma Ilva Vaccari – in merito alla sua festevolezza che sembrava volere nascondere, dietro la giovialità il grande merito delle sue azioni”[9].
Fin da adolescente aveva uno spirito da leader e riusciva facilmente a trascinare e a coinvolgere gli altri per la sua originalità. Infatti con la sua fiduciosa energia sapeva galvanizzare tutti. Non si negava a nessuna fatica, a nessun impegno, a nessuna carità. “Egli manifestava – prosegue G. P. Feltri – un’anima entusiasta, permeata da un forte ideale e protesa con tutte le forze a raggiungerlo. Era nemico delle mezze misure, sentiva poi il bisogno di comunicare agli altri la foga dei suoi entusiasmi, con ogni mezzo, in ogni occasione. Non importa se a prezzo di umiliazioni relativamente gravi”[10].
La tendenza ad abusare delle sue energie fisiche, nei lunghi viaggi in bicicletta, nel trasportare materiale di propaganda dell’Azione Cattolica e della resistenza e aiuti per i più poveri oltre ai diversi incidenti, gli procurò un’ernia che comportò un intervento chirurgico. Infatti, come dicevano: “Don Elio tirava avanti i suoi impegni a forza di muscoli”[11].
Di questo suo temperamento entusiasta parlano anche altri suoi conoscenti con toni diversi: “Il temperamento entusiasta e generoso lo aiuta a volte fin troppo, portandolo ad un attivismo che alcuni giudicano esagerato. Le testimonianze, comunque sono tutte d’accordo nel rilevare che egli riesce a fare quanto ad altri forse sarebbe impossibile…”[12]. Infatti di fronte a situazioni che sembravano senza via d’uscita si andava regolarmente da lui ed egli riusciva sempre a trovare soluzioni impensate e a “sistemare tutto”. Pur essendo spesso senza una lira riesce sempre a racimolare il necessario e non lascia mai conti in sospeso. Ad un certo punto era diventato un po’ come la santa Rita dei casi impossibili.
Con tutto ciò lui per il suo temperamento era giudicato da qualche confratello precipitoso, imprudente e caratterizzato da faciloneria e quindi non meritevole di fiducia.
Un suo confratello ebbe a scrivere: “Don Elio credeva troppo; credeva che tutti fossero sinceri e limpidi come lui. È difficile indovinare cosa ci fosse dentro a don Elio”[13]. E un altro confratello più duramente: “Gli mancava quel senso di prudenza che è indispensabile in attività [clandestine] di tal genere”[14].
Molti invece del suo temperamento sottolineano la capacità di costruire rapporti, di suscitare, individuare, coordinare e animare energie nuove e di scegliere collaboratori di indubbie capacità ed intelligenza tanto che poi, i migliori e più recettivi, li ritroviamo tutti impegnati nella resistenza dei cattolici e, dopo la guerra, nella vita politica e sociale anche in parlamento.
I dirigenti centrali dell’Azione Cattolica, nel 1939 lo definiscono “aspirante birichino”, originale negli interventi, assiduo alle riunioni romane, capace di amicizia serena verso tutti specialmente i laici, poco incline a scrivere e più propenso a parlare con gioia cordiale”[15]. Le alunne delle suore Orsoline alle quali teneva dei corsi di cultura religiosa, ripensando al film su Biancaneve e i sette nani, lo chiamavano, in segreto, “Cucciolo”[16]. E lui che lo sapeva, ne rideva.
Don G. Borali, per averlo ascoltato una volta dieci anni prima afferma: “Il giovane sacerdote dalla parola facile, e con un perenne sorriso sul volto radioso … Aperto gioviale, buono fino alle prime parole attirava a sé l’uditorio (…) Poche volte mi fu dato di assistere ad una schiera di giovani che per un’ora ascoltino un sacerdote, che li fa ridere, li diverte e nello stesso tempo li rende pensierosi, toccando grandi problemi, che li riguardano direttamente. Ho avuto l’impressione (…) di trovarmi davanti ad un’anima candida, apostolicamente ardente, protesa a comunicare la realtà di un mondo soprannaturale, in cui viveva continuamente”[17].
Un altro aspetto che si sottolinea era la sua capacità di infondere fiducia anche nelle situazioni più deprimenti e con una frase che ricorda tanto quella di Nostro Signore: “Non abbiate paura”[18], donava tanta serenità e, grazie al suo aiuto, anche nei casi peggiori tutto procedeva. Era animato da speranza cristiana e ottimismo per cui si è scritto che aveva e sapeva infondere la certezza che ci si batteva per una giusta causa e che non sarebbe mancata la vittoria.
La virtù della schiettezza e della franchezza e risolutezza, che i discepoli puntualmente gli attribuiscono ci presentano un uomo non incline alla doppiezza e al compromesso e quindi portato ad esprimere chiaramente il proprio pensiero anche se con “grande amore e pazienza” nei confronti dei più giovani e deboli. Questo presuppone in lui una chiara percezione del vero attraverso il senso critico, l’esperienza religiosa, lo studio e il radicamento profondo in un preciso sistema di valori non negoziabili. La franchezza però non poteva mancare di fronte a coloro che si opponevano alla visione cristiana delle cose o che dimostravano di avere imboccato strade pericolose.
Rivelava infatti di essere irremovibile di fronte ai tanti soprusi che si facevano in quei tempi e per combattere i quali era pronto a tutto. Infatti si mostrava sempre allegro ma ciò non significava affatto che fosse privo di responsabilità soprattutto nella grande tragedia a cui si stava assistendo. Fu uno dei pochi sacerdoti ad avere la moto che usò fino a che in giro si trovò un goccio di benzina.
Come tutti i sacerdoti di quegli anni indossava sempre la veste talare nera con il colletto circolare bianco attaccato alla pettorina emergente dalla stessa.
Quest’ultimo poi pare lo togliesse una volta salito in montagna per il genere di vita che conduceva, mostrando sotto la veste la camicia americana color caki. Pare che la veste talare gli sia stata tolta solo prima della fucilazione[19].
[1] C. BETTELLI, I preti uccisi, Teic, Modena 1985, p. 10.
[2] Cfr. Is 58, 1.
[3] D. AMEDEO TINTORI, Memorie dell’appennino 1943-1945, Preti nella resistenza, Mucchi, Modena 1992, p. 34.
[4] Nell’avanzare delle cause di beatificazione e canonizzazione mettiamo i titoli spettanti oggi alle figure nominate.
[5] C. BETTELLI, I preti uccisi, op. cit., p. 10.
[6] I. VACCARI, Il tempo di decidere, C.I.R.S.E.C., Modena 1968, p.267.
[7] Cfr., G. PAOLO FELTRI, Don Elio Monari, Comitato Onoranze “D.E.M.”, Modena 1953, p. 11.
[8] ACF-DEM, f. 3, c. 3, testimonianza di Emilio Salotti.
[9] I. VACCARI, Il tempo di decidere, op. cit. p. 175
[10] Cfr., G. PAOLO FELTRI, Don Elio Monari, op. cit., p. 12.
[11] Ibid., p. 11.
[12] L. PAGANELLI, Don Elio Monari e Chiesa e società a Modena tra guerra e resistenza (1940-1945), Mucchi editore, Modena 1990, p. 40.
[13] Cfr., C. BETTELLI, I preti…, op. cit., p. 28.
[14] ENRICO FERRI, Il sorriso dei ribelli, Giuntina ed., Firenze 2013, p. 74.
[15] Ibid., p. 41, nota 11.
[16] G. PAOLO FELTRI, Don Elio…, op. cit., p. 19.
[17] Cfr. Ibid., p. 17.
[18] Mt 14, 27.
[19] G. PAOLO MONTANARI, op. cit., p. 29.
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