Materiale didattico pastorale

– Io don Casimiro, vi presento don Elio: “Un giovanottone chiaro sui trent’anni – ne aveva quasi 31 quando fu fucilato a Firenze, ed era nato nelle campagne di Spilamberto nel 1913 – con una fronte aperta e quel sorriso sul labbro che mai nessuno, e neppure la morte, è stato capace di spegnere. Intelligentissimo e colto fu per questo inviato all’Università di Milano e nel 1940 si laureò in lettere. Aitante nella persona, era figlio di contadini, ed anche adulto e sacerdote ricordava di frequente e con fierezza la sua origine, soprattutto quando ci si meravigliava della sua resistenza fisica e di certe sue ‘maratone’. “Son di razza contadina, razza sana!”, esclamava e parlava del padre, della cui energia fisica si considerava erede, con ammirazione. Fin da ragazzo egli manifestava un’anima entusiasta, permeata da un forte ideale e protesa con tutte le forze a raggiungerlo. Era nemico delle mezze misure, sentiva prepotente il bisogno di comunicare agli altri la foga dei suoi entusiasmi, con ogni mezzo, in ogni occasione. Non importava se a prezzo di umiliazioni relativamente gravi.

Chi lo ha conosciuto e ha lottato con lui, lo sa: Don Elio: o era un pazzo, o era un santo! Era certamente un uomo di Dio, quali pochi ce ne sono stati; un’esistenza coraggiosa dedicata completamente e spericolatamente al servizio dei fratelli. Quando veniva rimproverato per l’ingente mole di lavoro e il poco tempo dedicato al sonno, col sorriso sulle labbra diceva: “Sono un prete d’assalto”.

Buono fino all’ingenuità, audace fino alla temerità, apostolico fino al sacrificio ultimo. Simpaticissimo. Affascinante anche nel parlare riusciva a coinvolgere profondamente l’uditorio.  Si definiva il più bel prete di Modena; e rideva, rideva rumorosamente tra i suoi giovani di Azione Cattolica, che sempre ne aveva attorno, dovunque si recasse.

E chi non li ricorda, questi giovani. Nella sua cameretta, lì per la direzione spirituale, in una parrocchia della montagna o della «bassa», ai ritiri spirituali e agli esercizi, alla sua messa, alla porta di un’aula per bloccarlo – don Elio insegnava lettere in Collegio a Montombraro e nei Seminari di Nonantola e Modena-, all’uscio della portineria, all’imbocco di una strada, magari, che egli era solito fare o a piedi, o in bicicletta, e più tardi per il gran daffare, anche con una grossa moto fin che ci fu benzina….; giovani che lo cercavano, che si intrattenevano con lui fino a notte tarda, assetati della sua parola, delle sue idee, della sua calda spiritualità.